E’ finalmente giunta l’ora di preparare un regalo (San Giuseppe. Un dono) a cui pensavo da tempo, ma che ha sempre trovato sulla strada della sua realizzazione l’opposizione della mia pigrizia atavica e la mancanza di tempo, di ispirazione, ecc. Ora i tempi (e le tecniche) sono maturi ed è evidente che non posso dilazionare oltre questo lavoro a sbalzo e smalti su alluminio. L’amicizia, per esprimersi, a volte ha bisogno di segni, anche semplici, tutto qui. Ora urge. Basta magliette, polo e indumenti tecnici, spazio all’arte!
Sfogliando tra le opere di mio padre Ettore, recentemente mi sono imbattuto in una bella composizione di smalti sulla Vita di san Giuseppe (era custodita in casa di mia mamma, ora di mio fratello Marco), in cui troneggia splendida la figura di San Giuseppe col bambino in braccio. Mi piaceva la semplicità delle figure e la ricchezza dell’aureola, che esprimevano affetto e cura, amore del Figlio verso il padre putativo, partecipazione dell’autore alla vocazione paterna e a quella artigiana del santo protettore della Chiesa. Nell’originale che qui vi mostro, (il disegno preparatorio è il n° 0117) il contorno delle vicende evangeliche dell’infanzia di Gesù (Sposalizio con la Vergine Maria, Fuga in Egitto, Giuseppe lavoratore che insegna il mestiere al figlio, gloria di san Giuseppe protettore della Chiesa universale) arricchivano di significato le due figure centrali. Però sono rimasto attratto soprattutto da queste e mi così mi sono tornate alla mente al momento di decidere cosa rappresentare nel regalo di compleanno per Guido.
Avevo pensato anche all’ipotesi di una “Madonnina”, ma tutto considerato alla fine la scelta è caduta su questa figura, che mi sembrava più adatta a Guido, padre e nonno, lavoratore indefesso come “carpentiere costruttore di opere” ossia direttore di enti assistenziali e caritatevoli, amico vero da una vita e per la vita. Per adeguare il tutto alle misure desiderate (circa 10 x 21 cm) parto dalla foto dell’opera a smalto e non dal disegno: in Illustrator sistemo la geometria dell’aureola e del vano architettonico stondato di fondo, stampo la bozza e la applico sulla lastra di alluminio. Tutto secondo la norma, il procedimento che ho messo a fuoco nel tempo. E’ il 4-7-23.
Forse preso dalla fretta di iniziare mi dimentico però di fare un’operazione che una volta facevo sempre sulla lastra di alluminio, prima di cominciare lo sbalzo: pulire a fondo strofinando forte con paglietta fine, alcool denaturato, sgrassatore, acqua e Cif, e infine diluente e poi ancora alcool isopropilico, la superficie della lastra tipografica, che, dalla parte non emulsionata è ricoperta da un sottilissimo, quanto tenace, strato di una specie di vernicetta trasparente che fa brillare a specchio la superficie, ma trattiene fastidiosi segni della calandratura della lastra che poi salteranno immancabilmente fuori rovinando l’effetto finale. Invece occorrerebbe partire dalla lastra già ripulita da tutti i segni (resta, è vero, un po’ opaca e non più lucida): se no a sbalzo fatto sarà difficilissimo, se non impossibile ottenere un buon risultato. Come una stupida gazza ladra mi faccio irretire dallo “sbarluccichio” della superficie, non vedo i difetti e inizio lo sbalzo. Con baldanza ingenua, anzi sciocca. La pagherò poco più avanti. Tranquilli, la materia non perdona e la realtà è testarda.
L’8 luglio lo sbalzo è quasi terminato. Non ci ho lavorato con continuità. I lavori di impermeabilizzazione del terrazzo e i muratori da seguire son cose che portan via tempo, specialmente ad un “Umarell” professionista come me. Purtroppo i difetti della lastra sono così evidenti che devo cercare di toglierli a sbalzo quasi finito, col rischio di schiacciare i volumi. Qui vediamo il retro e il fronte della lastra, che, dalla metà in giù, è tutta segnata dal difetto di righe e striature orizzontali.
Imbottisco allora il retro dello sbalzo per rinforzarlo ed evitare che si schiacci durante il tentativo di lucidatura. Intanto, a furia di passar paglietta e detersivi qualcosa del fondo migliora. E’ già qualcosa non dover rifare tutto, non vi pare? A questo punto devo anche decidere come finirò l’opera: patinata tipo argento e anticata come la precedente? Smaltata tutta o solo in parte? E quali parti, nel caso? Resinata, come da consolidato trend degli ultimi mesi o no?
Passo quindi la stesa di tintura per la brunitura. Effetto: alla luce led, mica male. Alla luce del sole uno schifo: troppo scura e macchiata, con assurdi aloni dorati sulle linee di disegno principali (strana reazione, da studiare un domani) e continuare a strofinare con alcool denaturato non porta a nessun miglioramento. Boh, ci penso su nel tentativo di trovare il modo di migliorare la resa. Intanto taglio le alette per il montaggio sul supporto (e questa volta taglio per il supporto un lastra di masonite spessa 6 millimetri, col vibrarazer). Qui la prima brunitura, molto scura, macchiata ed evidente.
E’ irrecuperabile, forse l’unica possibilità è ripulire lo sbalzo e rifare la brunitura. Il 9-7 tento con l’alcool isopropilico, ben diverso da quello denaturato (che al confronto è acqua fresca). In un battibaleno siamo tornati alla situazione ante brunitura. A questo punto monto lo sbalzo sul suo supporto di masonite, con colla di montaggio tra sbalzo e masonite e Bostick per fissare le alette posteriori. Metto sotto pesi per sigillare bene il tutto durante tutta la mattinata. Al pomeriggio ripulisco e sgrasso per bene il tutto e ri-distendo la mistura un po’ più diluita e con un attrezzino tipo spatola fatto di gommapiuma per spalmare uniformemente il liquido. Poi sfregamento come di norma. Una passatina di vernice protettiva Macota per fissare la brunitura e non incappare nell’errore dell’ultima volta, quando lo smalto ha sciolto la patina scura, sporcandosi. Ecco il risultato, assolutamente migliore del precedente, anche se non perfetto.
A questo punto posso procedere, con tranquillità, con gli interventi a smalto epossidico: rinforzo col nero i tratti del disegno principali e stendo gli smalti sull’aureola, cercando di non discostarmi troppo dalle cromie dell’originale paterno. Et voilà! Sono indeciso se smaltare anche il fondo. Poi, un po’ per pigrizia, un po’ perché già molto soddisfatto dal risultato raggiunto mi fermo qui.
Non è che posso regalare una formella così nuda e cruda. O la resino (tentazione fortissima) o la incornicio. Anche in questo caso propendo per la seconda ipotesi, la prima è troppo rischiosa: non avrei tempo di rifare alcunché nel caso andasse storto qualcosa. Mi sovviene che in cantina ho ancora qualche cornice ereditata dallo zio Michele. Trovata, misure perfette, nonostante debba sostituire anche per questa la controcornicetta dorata interna, tagliare un nuovo pannello di legno o simile, creare una controcornice distanziatrice che mi dia lo spessore sufficiente per distanziare la formella dal vetro (almeno 6 millimetri). Mi faccio i complimenti perché, non buttando mai nulla, posso recuperare dei profilatini a sezione quadrata di legno che sembrano fatti apposta. Tagliati, incollati, perfetti. Panno blu scuro (come quello della Presentazione al tempio) a rivestire il fondo; misure, biadesivo e 4 chiodini a fissare la formella sul fondo. Ottimo, il regalo è pronto. Il primo di Agosto si avvicina… Auguri, Guido!
Oltre a noi Paganini partecipano di cuore agli auguri anche gli amici, Francesca e Mauro, Anna e Ignazio, Alberto e Manuela e Chiara.
Per introdurci al tema della Fede ci viene presentata le scena della Presentazione di Gesù al Tempio in cui Simeone, l’uomo giusto e pio, mosso dallo Spirito si reca per abbracciare, nella fede del popolo di Israele, in quel bambinetto di 40 giorni chiamato Gesù, il Mistero del Dio incarnato, il Messia atteso, luce e salvezza per tutto il mondo. Canta poi le lodi a Dio col suo “Nunc dimittis”, riconoscimento del compimento della sua attesa. Inno quotidiano della Compieta in cui si fa memoria a fine giornata della Salvezza universale che ci ha raggiunti. Scorrono in video le immagini che rappresentano la scena, tratte dalla tradizione artistica cristiana, durante l’attesa della lezione dell’Abate generale dell’Ordine Cistercense Padre Mauro-Giuseppe Lepori. Tra di esse ce n’è una (la n° 29), parte di un complesso iconografico straordinario, che quando la vedo mi fa sempre sobbalzare per la sua bellezza: la scena della Presentazione al Tempio è rappresentata incisa su una tavoletta d’avorio del tesoro medievale della cattedrale salernitana. (Consiglio la lettura del contenuto dei Link, è davvero molto interessante!)
Le descrizioni più serie e dettagliate di questo tesoro artistico e religioso narrano di un numero molto più grande di formelle eburnee, attribuibili stilisticamente ad almeno tre maestri incisori provenienti da diverse scuole dell’epoca. La Presentazione in oggetto è attribuibile al “Maestro dell’Infanzia di Cristo”. (Oggi si ha contezza di sole 67 formelle, sparse tra il museo della cattedrale di Salerno e diversi musei esteri. Le altre formelle che si ipotizzano mancanti dalla ricostruzione del complesso iconografico o sono state trafugate, o smembrate in frammenti, o risultano comunque disperse). Queste sono le fondamentali premesse storico-artistiche che chiariscono la fonte di ispirazione dell’opera che vado a presentarvi.
Leggendo il testo degli Esercizi 2023 cresce ogni giorno di più la riconoscenza per un dono così grande che la Fraternità, per mezzo di padre Lepori, ci offre anche quest’anno per approfondire le ragioni della nostra vita di fede. Allora affiora alla mente e dal cuore il desiderio di creare un segno di gratitudine che anche artisticamente richiami alla memoria l’evento vissuto, perché la ragione va di pari passo con l’affezione. Unisci i puntini con un trattino ed ecco che appare proprio questa immagine, da trasporre in sbalzo su metallo.
Il valore economico di questa opera, (e di lavoro ce n’è dentro un sacco), alla fine è puramente affettivo, e ho deciso di donarla a padre Lepori e al suo Ordine: ogni prezzo (che abbia nel frattempo immaginato e comunicato a qualcuno) non corrisponderebbe al valore che le attribuisco di fatto. La intendo così offrire come un dono condiviso con i miei amici di cammino che intendono anche loro ringraziare padre Lepori.
Così ridisegno la scena della Presentazione di Gesù al Tempio, modificandola liberamente secondo le mie capacità ed esigenze per adattarla al progetto che si delinea nella mia mente. Una delle modifiche, per esempio, è deformare in altezza le figure, dal busto in giù (erano dei “tappi” nel medioevo) e la testa del Bambino che mi sembra un microcefalo sproporzionato, per avvicinarmi di più alle proporzioni moderne. (Oddio…, il Bambino, per essere di 40 giorni sembra enorme, di 5-6 anni almeno, ma nell’iconografia orientale Gesù Bambino ha sempre le sembianze e le proporzioni di un adulto perché in Lui la maturità/pienezza di umanità e divinità non è mai venuta meno e quindi è una scelta teologica, non estetica). Io faccio un allegro compromesso “moderno” tra le due scelte. Modifico ovviamente anche i volti e un po’ di particolari, secondo il mio stile.
19,8 x 17,8 sono le dimensioni della cornice esterna del disegno originale. Poi con la modifica dell’altezza diventa 19,8 x 18,4. Misure abbastanza ragguardevoli per i miei standard. La lastra ovviamente è molto più grande, per poter essere ripiegata sul supporto rigido. Decido che userò questa volta una lastra di alluminio perché l’ottone mi sembra che dia un carattere molto, troppo diverso da quello degli avori originali. Tra disegno e lastra inserisco un foglio di carta carbone per aiutarmi ad individuare le linee del disegno in fase di cesello. Ancora non so se questa volta resinerò tutto. (Nel frattempo ordino comunque nuove resine, non si sa mai…). Non vorrei dare un’impressione troppo “moderna” all’opera, che vorrei mantenesse un carattere antico.
Il lavoro dello sbalzo inizia con l’incisione, poi, man mano che si prosegue si definiscono i particolari sul fronte e il retro e si accentuano i volumi e l’aggetto. In un paio di giorni il grosso dello sbalzo è terminato. Poi andrò avanti qualche giorno a far modifiche, apportare dettagli e migliorie fino a che non sono soddisfatto. Una decisione fondamentale che prendo a fine sbalzo è quella di ritentare a patinare di nero la lastra col mio intruglio alcoolico a base nera di grafite, anilina e pennarelli sciolti usato in precedenza. Ne ho conservato una boccetta, anche perché se dovessi rifarlo non mi ricordo più né composizione precisa né dosi: sono un asino. Passo prima la paglietta fine a lucidare la lastra poi la sgrasso col CIF, poi risciacquo con acqua, la passo col diluente acetone e infine con alcool. Passo col pennello la tintura, la faccio asciugare, poi tolgo con lo scottex imbevuto d’alcool ciò che è in eccesso e a furia di strofinare la lastra si brunisce a dovere lasciando solo il disegno più marcato e una sensazione di volumi maggiori. Comunque la sera dell’8 maggio, con la Presentazione di Gesù al Tempio, arriviamo a questo punto:
Lasciatemelo dire: uno splendore! A parte la correzione di un guaio (AAARRRGGHHHH! Maledetta goccia di diluente caduta accidentalmente sulla cornice di sinistra, che però riesco a medicare con pazienza ri-patinando solo la porzione interessata), mi sembra corrispondente a quanto desideravo e non mi sarei mai aspettato in tal misura. Quando tra le mani ti accade una cosa così, che va al di là delle tue capacità pregresse, altro che essere riconoscenti di un dono! Ti chiedi: “Ma davvero l’ho fatta io?” Che preziosità! Sembra proprio una lastra di argento sbalzato, solo un filo più fredda di tono. Altro che semplice lastra tipografica di alluminio!
Taglio le solite alette della lastra e le ripiego sul retro della masonite preparata in misura della cornice del disegno. Fisso e incollo il tutto sotto pressione per un paio di giorni con pesi e gommapiuma. Molto bene. Adesso, come posso rovinare tutto? Smaltando almeno le aureole? Certo. Uso i nuovi smalti per vetro e li allungo col medium trasparente. Prima (accidenti!) di dare una leggera passata di vernice protettiva Macota, ovviamente. “Non è che potevi pensarci prima che lo smalto avrebbe smosso la patina nera sporcandosi, vero?” Faccio buon viso a cattivo gioco: prima mi giustifico dicendo che così l’effetto è molto più anticato (boh…) e poi, per spegnere la coda di paglia, do una passata finale di Macota, quando ormai i buoi sono scappati. Mi consolo pensando che è stata l’occasione di imparare ancora qualcosa e che forse la prossima volta che userò la patina liquida, dovrò PRIMA fissare tutto col Macota e solo POI stendere gli smalti.
Per farla breve, decido che la lastra rimarrà così, solo protetta dalla vernice Macota e non resinata, anche perché prudenza suggerisce che forse sarebbe meglio fare prima una prova di resinatura su lastra patinata, cosa che non ho ancora fatto. Poi, pensando alla versione “regalo” della Presentazione di Gesù al Tempio mi torna in mente che in cantina ho messo via delle cornici di legno dorato nuove che erano in casa dello zio pittore Michele Sessa (marito della zia Ilde Venturini di cui ho già parlato in altri post precedenti). Trovata quella dalle dimensioni più adatte (38×44) la smonto per pulire il vetro e adattare la cornice, rifaccio il fondo di pressato per sostituire la controcornicetta interna non in misura, lo ricopro di panno blu scurissimo, apporto i fori per i 4 piccoli sostegni al fondo e rimonto il tutto. Ecco quindi il risultato finale: la Presentazione di Gesù al Tempio incorniciata.
Alla fine, avendo deciso di donare l’opera a Padre Mauro Lepori, anche a nome degli amici della Fraternità e delle Scuole di comunità, avendo visto dal programma del Meeting di Rimini che Padre Mauro sarebbe stato presente alla manifestazione ho cercato di contattarlo attraverso la segreteria, poi con una serie di colpi di scena e di imprevisti, alla fine lo abbiamo raggiunto, contattando il suo steward, al termine della visita di una mostra. Qui il video del brevissimo momento.
In allegato il biglietto che accompagnava il quadro, in cui cercavo di esprimere tutti i sentimenti e le ragioni che sottendevano al gesto. Un grande grazie a tutti gli amici che mi hanno aiutato, accompagnato, supportato e sopportato. Ancora un grazie a Padre Lepori che ha gradito tantissimo l’opera.
Quando è deceduta la cara zia Ilde nel 2021, tra le diverse cose trovate e salvate dalla sua stanza di preghiera, saltata fuori dal cassettino dell’inginocchiatoio, mi era rimasta in una scatola una immaginetta reliquia, con un brandello di stoffa cardinalizia appartenuta alle vesti dell’Arcivescovo di Milano card. Alfredo Ildefonso Schuster, del 1935; la paura di perderla o rovinarla mi aveva indotto a pensare a come proteggerla e valorizzarla utilizzandola in una nuova icona/reliquiario dedicata al Beato Schuster.
L’idea mi frullava nella testa da tempo, ma poi ho deciso di realizzare l’opera in vista di un paio di occasioni che si profilavano all’orizzonte.
Tra quest’anno e il 2024 infatti ricorrono due anniversari importanti: il ventesimo di ordinazione sacerdotale del nostro parroco don Matteo Baraldi e il 60° di consacrazione della parrocchia di Gesù Buon Pastore e san Matteo Apostolo ed Evangelista (1964). Intanto comincio a realizzare l’icona, poi penserò bene a chi e come donarla.
Come anticipavo in un precedente Post, ecco venuto il momento di parlare di quest’opera. Oramai la passione per la resinatura è difficile da contenere. Tanto più se l’oggetto che si sta formando nella mente è proprio un contenitore di reliquia, che abbia da un lato uno dei miei sbalzi su ottone smaltato e dall’altro la preziosa immaginetta con la reliquia.
10 Maggio. Prima cosa, come sempre cercare una immagine di Alfredo Ildefonso Schuster che possa essere rappresentata a sbalzo. Non ho immagini dell’archivio paterno, (Ettore Paganini – non mi ha lasciato alcun bozzetto del Beato) quindi cerco in internet, e fra le poche che trovo ne individuo una che può fare al caso mio. Sembra più un ritratto ufficiale che lo rappresenta un po’ anziano, ma mi sembra ottima da riprodurre. Eccola:
Parto allora a disegnare a video, su carta da lucido, la bozza da applicare sulla lastra di ottone e in breve questa fase è realizzata.
Porto in misura (112,5×166,5 circa) e definisco meglio il progetto in Illustrator, poi stampo il tutto e applico alla lastra. Decido poi che eviterò il reticolo di linee del fondo, che incasinano e basta. (In realtà lascerò poi qualcosa, ma ad hoc, per nascondere puntualmente dei difetti della lastra che si era un po’ segnata).
Al solito procedo col trasferimento della figura e inizio a sbalzare fronte e retro, e, come al solito le difficoltà più grosse sono nei particolari del viso. Mi fa godere un casino il panneggio del mantello, che immagino già smaltato di rosso cardinalizio. Quanto alla resa della cotta bianca (si dice rocchetto?) che dovrò smaltare di smalto bianco, la cosa inizia ad intimorirmi, però sono tutte cose che passano per la mente mentre sbalzo, man mano che il lavoro avanza. Non si ripetono mai allo stesso modo i gesti artigianali. Ogni gesto apre mondi di immaginazione su come procedere: ogni opera, da questo punto di vista è nuova e ogni volta c’è da imparare qualcosa e da affrontare e risolvere problemi nuovi.
14 Maggio: prima di smaltare, (non si sa mai cosa potrebbe succedere se le resinature non dovessero essere perfette, colare dove non devono e rovinare lo smalto irrimediabilmente) decido di fare una prima sottile resinatura sul retro, dove c’è la reliquia. Immaginetta che però devo proteggere perché la resina che è una brutta bestia molto aggressiva potrebbe rovinarla. La metto sotto un foglietto di acetato trasparente ricoperto da un foglio adesivo trasparente che la attacchi in modo impermeabile al fondo adesivo dorato che chiude le alette posteriori dello sbalzo. Poi attacco la mia etichetta e anche su di essa applico l’adesivo trasparente. Alla fine costruisco col nastro adesivo di carta e alcuni cartoncini che diano rigidità, una semplice cassaforma nella quale colare lo strato di resina. Metto il tutto su un supporto che alzi il pannello “da terra” in modo che se qualcosa colasse, andando sul fronte, non rovini la superficie sbalzata.
Sembrerebbe fatta, no? No. Stacco la cassaforma e levigo grossolanamente i bordi che erano a rilievo. Questo perché l’intenzione sarebbe quella di fare prima questa resinatura per bene, poi fare quella anteriore tenendo sollevato l’oggetto nella cassaforma definitiva con dei brillantini applicati e incollati anche nella cassaforma, in modo da inglobare tutto in un’unica resinatura finale e, se ci fossero dei difetti, lo spessore totale si potrà levigare con buon margine di sicurezza ripareggiando le superfici.
15-5-23. Ecco il risultato parziale: si vede già un problema. La resina (che si infila dove vuole lei!) ha intaccato un po’ l’etichetta, nonostante l’adesivo che la ricopriva. Poco male, in fondo si è rovinato solo il mio nome: ma questo mi fa pensare che dovrò trovare una soluzione valida per evitare lo stesso problema sul cartiglio anteriore: lo spruzzerò fino allo spasimo con la vernice Macota, in modo che sia intriso di vernice uniformemente e non assorba resina dove vuole lui. Immaginetta invece, OK!
Smalto con molto gusto la figura, cimentandomi coi bianchi (che sono smalti un po’ traditori, devi stare attento alle stesure che devono essere delle velature) e il 16-5-23 applico anche il famoso cartiglio stampato. Peccato che il colore dell’aureola risulti un po’ troppo scuro: i nuovi smalti hanno bisogno di essere tutti stesi con una buona dose di medium trasparente che li alleggerisca. ma oramai non c’è CTRL Z da poter fare.
In giornata costruisco la cassaforma col metodo ormai consolidato, con fondo di plastica adesiva rossa, mettendo anche dei distanziatori tra la formella e le pareti di legno, in modi di avere uno spessore costante di resina sui bordi
In seguito incollo sul retro 4 brillantini in modo da dare uno spessore sul retro. (A posteriori capisco di aver fatto un errore, perché il risultato del retro sarà orrendo con una enorme bolla vuota da rimediare in seguito. In futuro dovrò escogitare un altro sistema, probabilmente resinando separatamente fronte e retro). Poi, dato alla cassaforma la mano di distaccante, fisso l’oggetto e faccio la colata.
Disastro: scaldo troppo la resina in fase di mescola e inizia a raggrumarsi anzitempo. Questo provoca grinze sul fronte (come si vede in alto a destra) e poca fluidità anche sul retro. Dovrò intervenire pesantemente con la levigatrice.
Siamo ormai al 19 maggio. La colata riempitiva si è solidificata piena di difetti. Vado di levigatrice rotoorbitale come se non ci fosse un domani, dalla grana più grossa, 120, alla più fine che ho (4000). produco polvere a tonnellate (menomale che si può inserire l’aspirapolvere sul retro dell’attrezzo), in cantina, bardato come un tecnico dell’Icmesa… Poi passo i tamponi col polish e miracolosamente tutto torna lustro e trasparente.
Al 22 maggio, tra un ritocco e l’altro posso dire di aver terminato l’opera. Sei proprio sicuro? Il retro non mi convince comunque perché la trasparenza non è perfetta, è pieno di bollicine e allora lo ricopro di adesivo dorato con la finestra aperta sulla reliquia. Così applico una nuova etichetta.
E come lo userai il reliquiario? Appeso o su un supporto da scrivania? Appeso mi sembra banale. Perché non complicarsi la vita? Certo un supporto su misura non esiste. Provvidenzialmente mio fratello Marco la sera del 21 mi ha regalato una vecchia scatola di plexiglass col coperchio trasparente. E’ proprio ciò che fa al caso mio. Urge progettino ad hoc. Fatto. Tagliare il plexiglass non è cosa semplice: se lo tagli col seghetto alternativo ti crea del plexiglass bianco/nero fuso per il calore che rovina la lama con un bel “carpogno”; col traforo a mano rischi di non andar dritto: l’unica è inciderlo profondamente col cutter su entrambe le facce e poi con un colpo netto su uno spessore rialzato lo spezzi preciso. Se ti va bene si rompe come desideravi, se no fa il cavolo che gli pare. E si spezza. Male. Dove vuole lui…
Assemblo i pezzi di plexiglass (levigati e con i bordi opportunamente stondati) del supporto con l’Attack (è fatto apposta!) et Voilà, l’oggetto è pronto per essere regalato.
Pronto per essere regalato dicevamo. A chi? Beh oramai la ricorrenza del ventesimo di ordinazione di don Matteo è alle porte. Decidiamo, io e Daniela, di regalarlo proprio a lui. Mi sembra un oggetto più adatto ad un regalo personale, come oggetto devozionale. Poi è una reliquia di un Beato ambrosiano, cosa può esserci di meglio per sostenere un ministero svolto in terra ambrosiana? Nella dedica affidiamo il don alla cura celeste del nostro beato arcivescovo. Al 60° della parrocchia… ci penseremo più avanti!
Siamo al 15 maggio 2023, e Lucia, passando da me, vede un’altra icona molto particolare in lavorazione (di cui parlerò nel prossimo Post di questa categoria) e mi chiede a bruciapelo se me la sento di realizzare una piccola Madonna con Bambino per un regalo di prima Comunione (per il 28-5-23). Si tratta della sua figlioccia di battesimo.
I tempi non sono larghissimi, e neppure le dimensioni devono esserlo. Anzi, mi raccomando, piccola piccola. Le sottopongo due ipotesi tra i disegni d’archivio di mio padre Ettore. Per entrambe penso ad una dimensione finale di 7,5 x 10 cm. La scelta tra la 0189 e la 0190 cade sulla prima: e 0189 sia!
Già, devo sbrigarmi, anche perché, ormai “infularmato” (espressione paradialettale lombarda) dalla tecnica delle resine, (come per la prova ben riuscita della Madonna della Resina) me la immagino come un bel quadrello di resina che ingloba totalmente lo sbalzo, ma non ho in casa resina a sufficienza per realizzare entrambe le icone in lavorazione, e per ottimizzare i tempi penso che le colate dovranno essere fatte contemporaneamente. L’altra “icona reliquiario” è già in uno stato di lavorazione più avanzato, ma per un errore, purtroppo facile in questa tecnica, devo correggere la colata sul retro a cui è rimasto uno spazio non coperto (accidenti!). Quindi comunque dovrò ordinare nuova resina e qualche disco di levigatura. Intanto che passano i giorni per la consegna del materiale, mi porterò avanti con lo sbalzo e la smaltatura con smalti epossidici. Al lavoro, dunque!
Il giorno 18 siamo già a buon punto: lavorando sul fronte e sul retro i volumi prendono consistenza e, come sempre, le parti più difficili sono i volti, perché basta un nonnulla per dare espressioni che non sono esattamente quelle desiderate. In questo lavoro i margini di correzione sono veramente minimi. Non c’è il CTRL Z. Una volta che hai rovinato l’ottone difficilmente si rimedia, per questo la tensione è sempre al massimo.
Lo sbalzo mi soddisfa sufficientemente. Ho acquistato recentemente altri smalti epossidici per vetro “Ideavetro” della Maimeri, più densi di quelli della Maribù. Sono quindi diversi da trattare dai primi; hanno il vantaggio di avere un colore trasparente medium utilissimo a usare gli altri colori più diluiti o trasparenti, anche perché tra loro si mescolano perfettamente. Per ora li ho usati solo in alcuni particolari, come le aureole. Ve li mostro.
Piego e fisso la lastra con colla di montaggio sul suo supporto di masonite. Sfriso radialmente le aureole con una punta affilata, in modo da aumentarne la riflettanza. In breve anche la smaltatura termina. Stavolta ho scelto di smaltare, come nei miei primi lavori di questo genere, il fondo, l’aureola e non la figura. Mi concedo solo di rinforzare leggermente gli occhi delle due figure.
I problemi si concentrano in questa seconda fase, quella della resinatura. Sbaglio tutto lo sbagliabile perché metto a bagnomaria in acqua bollente (invece che semplicemente calda) il contenitore di vetro con le resine (I-Crystal della Resin Pro) da mescolare e da versare negli stampi delle casseforme preparate. Questo “colpo di genio” fa sparire di colpo le bolle, ma accelera la reazione delle epossidiche (anche perché il vetro mantiene il calore con continuità) che di colpo tendono a indurirsi e a diventare filamentose e a fare grumi. Me ne accorgo purtroppo mentre verso a riempire. Così devo cercare di spianare a mano con varie punte gli gnocchi di resina rappresa e facendo ciò creo delle bolle e delle asperità che non volevo… aaarrrgggghhhh! Disastro. La sola speranza è che intanto che sono ancora abbastanza elastiche si ricompongano prima dell’indurimento finale. Ultima ratio, la terza e ultima fase di finitura: pareggiare levigando con abrasivi e la fase di lucidatura finale.
C’è sempre una certa dose di ascesi da sperimentare in questi lavori artigianali (che coinvolgono progettualità e manualità):
1) Capisci che impari poco per volta, che hai sempre da imparare e che non imparerai mai abbastanza.
2) Capisci che anche quello che pensi di aver già imparato e di poter padroneggiare, può sempre essere rimesso in discussione da stupidi particolari della realtà che non avevi considerato per supponenza.
3) Capisci che ci vuole umiltà per piegarsi alla materia, cosa che non è nelle mie corde più immediate ed istintive: “Deve obbedire, porcaccia la miseria, non è che comanda lei!”
4) Se non sei padrone neppure di cosette così banali ed elementari, pensa un po’ cosa ne è di te… La vita te la dai tu? La salute te la dai tu? Il mondo te lo dai tu? Ecc… No, però persino i capelli del mio capo sono contati.
5) Se proprio non sei costretto a buttare via tutto (cosa che è già successa) vuol dire che forse c’è una soluzione, in fondo basta trovarla. Ci vorrà del lavoro ulteriore. E comunque la perfezione non è di questo mondo e arrivare a un buon compromesso è un’arte.
Infatti. A indurimento finale tolgo il blocchetto dalla cassaforma e purtroppo devo constatare che molti difetti sono rimasti e ne scopro anche altri che non avevo notato. Mi pento di aver voluto resinare: ma chi me l’ha fatto fare? Lasciavo com’era lo smalto, passavo un po’ di vernice protettiva Macota ed era a posto. No? Evidentemente, no. Ormai sono in ballo e devo ballare, devo portare a casa il risultato, cioè devo finire il regalino nel migliore dei modi. Inizio a rifilare il grosso dei bordi col cutter, poi passo a levigarli a mano con carta grossa tipo grana 80 e poi scendo fino alla 120, 240 e 360. Ora però devo passare alla levigatrice rotoorbitante: c’è ancora un sacco di materiale da eliminare per arrivare a mettere in piano la superficie. Arrivo fino alla grana 1000. Tutto molto poco trasparente evidentemente. Ma capisco che il danno della bolla alla sinistra del volto si è solo ridotto ma non eliminato. In alto a destra c’è un avvallamento che andrà pareggiato. La fotografo comunque e la mando sulla chat di Resin Pro di whatsapp, chiedendo consigli. L’unico è quello di partecipare alla masterclass sulla lucidatura (37,90 euro).
Nel doppio senso che le grane non mancano mai, ma anche che devo ritornare almeno alla grana 360 o 500 per levigare più a fondo per eliminare quanto più possibile i difetti. Olio di gomito e un’altra mezz’ora di paziente levigatura, tornando indietro più volte. Quando capisco che anche proseguendo non otterrei miglioramenti significativi passo alla 800 poi insisto parecchio con la 1000, poi la 1500, la 2000, la 3000 e la 4000, quella che dà il tocco finale prima della lucidatura col Polish per resine. Va passato prima con platorello di gommapiuma e poi lucidato col platorello di lana. Ti senti bene quando vedi che il tuo oggetto torna miracolosamente a risplendere! Una cosa che ho capito è che finché noti graffi (a luce radente) che con la grana fine che stai usando non vanno via devi rassegnarti a regredire di grana fino a che non li elimini, solo allora puoi procedere verso le grane più fini. E ricordarsi di pulire sempre la superficie tra un abrasivo e l’altro.
L’oggetto è bello, sta bene nella mano, anche i colori sono ok, tutto sommato mi piace. Mando la foto a Lucia e solo allora mi ricordo che alla bambina piaceva il lilla/violetto/indaco. Orpo!, troppo tardi: non ve n’è traccia… Lucia mi perdona. (La bambina non so). Penso comunque ad una soluzione trasversale.
Sistemo ora il retro (era venuto bruttino e con un sacco di difetti). Lo ricopro di adesivo d’oro e gli metto la mia etichetta
Poi creo, dalla copertina in cartone rivestita di similpelle verde di una vecchia agenda planning, la scatolina imbottita di raso violetto per la confezione regalo. Tutto molto apprezzato. (Soprattutto dagli adulti… Lo sapevo che la bambina senza il lilla non sarebbe stata pienamente felice)
Siamo verso il 10 febbraio 2022. Mi chiama Enrica C., mia cara compagna di Liceo, con la quale c’è stato un ricontatto in tempi recenti attraverso la chat di classe, da lei voluta e portata avanti per continuare a tenere i rapporti tra gli ex compagni del Vittorio Veneto. (Le chat di questo tipo non sono mai state la mia passione, lo ammetto. Ma la sua passione per le persone e la sua memoria sconfinata -che ho sempre invidiato- hanno potuto ricostruire e tenere le fila della nostra classe liceale. La chat, iniziata durante la pandemia sta perdurando tuttora con picchi di interventi legati ai compleanni, agli onomastici, ai lutti e alle nascite dei nipotini e agli auguri natalizi e pasquali).
Enrica è perfettamente al corrente del lavoro che svolgeva mio padre e che ha sempre ammirato (lo ha anche conosciuto personalmente, assieme a mia mamma, ai tempi del nostro liceo. A Cusago, dove abita, poi c’è una bella via Crucis di papà nella chiesa parrocchiale dei SS. Fermo e Rustico e lei spesso me ne fa cenno), sa della mia attività sperimentale di iconografo a sbalzo e smalti su metallo perché segue questo blog e comunque per lei non è che una persona la si conosce e basta, no, no, diventa parte indelebile della sua esperienza personale e così riesce a portare nel cuore fedelmente tutti quelli che incontra, con tanto di data di compleanno/onomastico e ricorrenze varie.
Una che sa amare e sa fare memoria. Per conoscere bisogna amare. Lei è sempre stata così. (Ma da giovani certe cose non si capiscono o non si apprezzano a sufficienza). Mica roba da nulla, insomma, roba profonda. Un cristiano lo si riconosce tra mille. Il tutto vissuto con gioia, naturalezza e riconoscenza, nonostante le batoste che la vita non risparmia ad alcuno. E tutto ciò l’ho potuto riscoprire oggi, grazie solo alla sua fede, tenacia e passione.
Fatta questa doverosa e necessaria premessa, veniamo alla fatidica telefonata: “In giugno verrà ordinato sacerdote un caro amico, Francesco A. nato e vissuto a Cusago e abbiamo pensato di regalargli una sovraccopertina preziosa delle tue per il suo Breviario personale, che ne dici? Ci sono in vendita delle sovraccopertine in pelle o similpelle a cui andrebbe applicato il tuo capolavoro. Misure standard 11×18”.
Un nota bene perché altrimenti non si capisce il mio iniziale imbarazzo nella risposta. Già, perché non è stato un sì deciso…
Dico comunque un sì titubante, metto le mani avanti e mi impegno comunque a inviarLe qualche bozzetto di mio padre sul tema “Buon Pastore”. Trovo poco o niente, e sono poco convinto io per primo di ciò che le invio in whatsapp l’11 febbraio. Lei lo apprezza molto, ma io continuo a cercare altre soluzioni più convincenti.
Alla fine trovo in internet una icona orientale (rumena? Boh, la trovo pubblicata su un’infinità di siti) che mi piace molto e decido di partire da quella, rielaborando e modificando il disegno da riprodurre a sbalzo e smalto.
Il 10 marzo le mostro il disegno base elaborato, che dovrò poi adattare alle misure molto verticali della formella da realizzare. Non so ancora se e cosa smalterò. Le idee mi si chiariranno strada facendo… spero.
Sistemo il bozzetto nelle misure ed inserisco la frase di Cristo in latino: “Ego sum pastor bonus”: frase programmatica non solo apprezzabile, ma assolutamente necessaria per chi, prete novello, è chiamato a fare della sua vita una perfetta imitazione di Cristo anche nel ministero sacerdotale. Il buon pastore dà la vita per le sue pecore, alle sue pecore.
Intorno al 20 maggio, stampata la bozza e applicata alla lastra di ottone, inizio timidamente la fase di sbalzo, ma che fatica riprendere questo tipo di lavoro, accantonato da così tanti mesi! Poi l’ottone ha troppi riflessi e sono costretto a spalmare fronte e retro sulla lastra un po’ di tempera bianca per abbassare i riflessi accecanti. Questo ha i suoi svantaggi perché vien meno la scorrevolezza delle punte sulla lastra.
Di qualcosa bisogna pur morire. Una sudata notevole per portare a termine lo sbalzo, che come sempre, ha nella definizione dei lineamenti del volto la parte più difficile da ottenere secondo quello che si desidera e ci si era prefissati.
Intanto ecco la lastra sbalzata ma non ancora ritagliata, piegata, fissata, “imbottita” di mastice. Per procedere a realizzare queste fasi devo prima decidere quanto sarà lo spessore del supporto su cui piegare i lembi della lastra.
Dopo il passo della prima piegatura passo a riempire i vuoti sul retro con mastice da marmista, bicomponente a presa rapida, in modo da impedire schiacciamenti accidentali dei volumi più pronunciati e dare solidità alla lastra. Qui vediamo il retro col mastice applicato.
Una volta asciugato il mastice, ho ritagliato il cartone di supporto con i 4 bulloncini passanti, negli angoli, per il fissaggio al copri-breviario, e con abbondante colla di fissaggio riempitiva l’ho fatto aderire al retro e poi ho ripiegato le 4 alette di ottone fissandole con Attack al cartone. Poi ho ritagliato anche il plexiglass bianco opalino rigido che servirà a serrare lo sbalzo alla custodia di (finta) pelle. Alla fine, ho imbullonato e messo tutto il sandwich sotto pressa ad asciugare per una giornata intera, in modo di scongiurare eventuali deformazioni dovute alle tensioni interne durante l’asciugatura della colla.
Mando in visione ad Enrica lo sbalzo il 26-5, per dire, “ecco, sono arrivato qui”. Lei lo interpreta quasi come: “E’ finito”. “E’ fantastico. A me piacerebbe smaltato colorato, ma vedi tu. Certamente lo userà tutti i giorni. Dammi un consiglio. ecc”. A questo punto ci sentiamo e poi passa da me a consegnarmi la custodia acquistata, a fine maggio (e ne approfittiamo per farci una bella chiacchierata per colmare di persona 50 anni di non presenza). In realtà siamo al solito dubbio che mi prende a questo punto del lavoro: “…e, se lo lasciassi così, nudo e crudo, senza smaltare alcunché?” Bello, è bello anche così, non faccio per vantarmi, magari poi lo rovino. E poi c’è il discorso dell’unto delle mani, dell’usura, ecc. Che fare?
E poi, nel caso decidessi per la smaltatura, come fare? Eh, sì, perché oltretutto le icone vere hanno una codifica precisa dei colori da utilizzare: fondo oro, le vesti di Cristo rosse a significare la Sua Divinità rivestita di Umanità (mantello blu / turchese), eccetera. Sarebbe bello. Ma è proprio ciò che vorrei evitare, (dipingere le parti più sporgenti e quindi più soggette ad eventuale usura da sfregamento). Allora opto per un compromesso ragionevole: dimenticarsi delle vere icone orientali e dipingere solo il fondo in blu, l’aureola di arancione e la fascia delle scritte in rosso. La mia ennesima pseudoicona.
Non ho detto una cosa importantissima: tra quando ho inviato il whatsapp con lo sbalzo terminato e questo momento della smaltatura, siamo arrivati al 9 giugno, proprio sotto la data di ordinazione del sacerdote che sarà ordinato in Duomo sabato 11 giugno. Domenica 12-6 prima messa a Cusago, occasione per porgergli il dono. Una telefonata imperativa di Enrica mi toglie dalle ultime remore del dubbio. Con timore e tremore mi metto quindi all’opera e in un pomeriggio lo smalto è steso e asciugato.
Le invio con whatsapp i vari step della smaltatura: eccone uno.
Finito lo smalto e prima di fissare la formella alla custodia decido di applicare quante più mani di vernice protettiva MACOTA KZ100 (quella che usano i carrozzieri per proteggere i cerchioni delle automobili) per creare uno strato inattaccabile dagli acidi epidermici. Ne spruzzo 6/7 strati incrociati, per sicurezza.
Il 10/6 pomeriggio Enrica sarebbe passata a ritirare l’opera. Dovevo finire il tutto in tutta fretta. Vietato sbagliare. Enrica mi chiede di inserire i miei dati, la firma, e una descrizione dell’opera all’interno della custodia. Ecco i particolari dell’operazione:
Ecco fatto, ed ecco lo sbalzo fissato alla custodia:
Ecco l’immaginetta ricordo di don Francesco.
Com’è andata? Risposta: “Dire “Lode a Dio, al Figlio e allo Spirito d’Amore ” è ancora poco e limitativo. È stato gioia vera in Duomo, a Cusago, ieri pomeriggio nella Cappella della Cascina Robaione (Cusago) in cui è custodito il primo simulacro della Vergine Maria di Caravaggio è dove don Francesco ha celebrato il suo affidamento a Maria e… Il tuo capolavoro è stato molto apprezzato e ve ne siamo grati. La benedizione apostolica impartita ieri scenda copiosa su voi tutti. Un abbraccio fraterno a te e a Daniela. Vi aspettiamo!!!”
Il 30 Agosto 2021 gli amici Renzo e Graziella celebrano il loro 50° anniversario di matrimonio: una sacra famiglia, per natura, come Dio l’ha immaginata e creata, checché se ne dica, a dispetto di tutti i limiti della nostra condizione, giacché non si arriva ad un simile traguardo senza l’intervento della Provvidenza che dialoga con la debole libertà di noi esseri umani e porta a compimento la Sua promessa di pienezza, attendendo solo i nostri sì.
La nostra storia, (e il dramma della nostra libertà), è storia sacra, diceva il grande Aldo Baldini.
E allora, Sacra Famiglia sia, anche il nostro regalo e il nostro pensiero per questa felice ricorrenza. Contempliamo stupefatti in loro “le grandi cose che fa in noi l’Onnipotente, e Santo è il Suo nome”, parafrasando il Magnificat.
L’input e l’idea luminosa mi vengono suggeriti da Cristina e quindi prontamente allargata a Guido e Patrizia, Alberto e Manuela, che parteciperanno al regalo.
Cerco nell’archivio di disegni di mio padre Ettore una immagine che faccia al caso nostro e trovo una Natività che sembra fatta apposta. Dovrò modificare qualche particolare, come si nota, ma la 0053 è ottima per il nostro scopo.
Mi metto all’opera tra il 31 luglio e il 2 agosto e in breve ottengo dalla lastra di alluminio uno sbalzo ben fatto, che qui vi mostro. Le difficoltà sono, come sempre, generate dai volti, vere miniature in rilievo, dove basta un nonnulla per rovinare tutto.
Una volta montato lo sbalzo sulla sua masonite mi faccio prendere dalla smania dell’alchimista in erba e immagino di brunire il luminoso e argenteo alluminio in modo da farlo apparire come un bronzo. Facile a dirsi, meno a farsi. Avevo, invero, già sperimentato una soluzione alcolica con estratto di pennarello indelebile e altre sostanze segrete, che però non mi sembrava desse i risultati sperati. Erano cioè risultati molto effimeri e delicati e andavano fissati con la vernice finale; avevo bisogno invece di qualcosa di più “sostanziale” e duraturo. Per caso trovo in cantina una vecchia bustina di polvere di anilina nera (probabilmente un po’ tossica…) dei materiali avanzati di mio padre e ne mescolo un po’ nel mio intruglio filosofale. Avventatamente provo a strofinare a forza la soluzione con un tampone sulla superficie (lucidata a paglietta sottile), che man mano diviene proprio brunita. Una prova di lavaggio con alcool mi conferma che il tono è stato assorbito dal metallo a livello molecolare. Ottimo, no?
Bene! Allora finisco l’opera con qualche tocco di smalto arancio solo sulle aureole. Ho deciso infatti di dare un carattere sobrio all’opera. Il calore della brunitura mi sembra sufficiente come colorazione. Alla fine una spruzzata di vernice Macota che fissa il tutto non si nega a nessuno. Monto poi l’opera su un blocchetto di truciolare rivestito di pannolenci rosso cupo che mi sembra valorizzi assai bene la luminosità della sacra scena familiare. Impacchetto poi il tutto per la ricorrenza del 30 agosto.
Un nuovo sbalzo che è davvero una sfida: il soggetto devo svilupparlo dalle foto della statua del “Cristo degli abissi”, posizionato sul fondo della baia di san Fruttuoso (GE), senza poter far riferimento a nessuna delle opere di mio padre Ettore. La richiesta mi giunge, un po’ di sorpresa, il 9 febbraio 2021 da una cara amica, Daniela, che ne vuol fare dono in agosto per il 70° compleanno del marito Paolo, appassionato di immersioni in quel mare ligure. Come dire di no?
Questo post quindi resta sotto embargo fino ad agosto e lo pubblicherò solo a compleanno compiuto, per non rovinare in alcun modo la sorpresa.
(Oggi, 31 agosto 2021 viene sbloccato. Auguri, Paolo!)
Tutta la mia esperienza elaborata finora nel campo delle icone a sbalzo, non la valuto sufficiente per affrontare questa sfida. Soprattutto mi preoccupano l’immagine di partenza (ne trovo molte in internet, ma nessuna mi soddisfa; molte sono incrostate di alghe e bestie marine o sono tagliate a mezzobusto o mostrano solo il volto, mentre l’input è di avere la figura intera) e la colorazione che dovrò sperimentare. La stesura ad aerografo degli smalti per vetro, calcolando la loro rapidità di essicazione, mi getta nell’angoscia. (Ovviamente dovrò fare una prova, prima).
Siamo ai primi di aprile 2021 quando finalmente prendo in carico la “commessa” di febbraio. Decidiamo via whatsapp le misure: 20×27,6. Decidiamo il metallo per lo sbalzo: visti i colori prevalentemente freddi la scelta cade sicuramente sull’alluminio. Poi frugando nei meandri di Internet trovo finalmente la foto della statua appena uscita dalla fucina dell’artista: lo scultore Guido Galletti che la realizzò nel 1952 su idea di Duilio Marcante. L’opera venne poi piazzata sul fondo della baia il 29-08-1954, in ricordo della morte in quelle acque di Dario Gonzatti, inventore e subacqueo. La foto ha il pregio di essere a figura intera e perfettamente pulita da incrostazioni, quindi decifrabile anche nei lineamenti del volto. (Cosa essenziale, viste anche le dimensioni del volto che dovrò sbalzare)
7 Aprile. Inizio a ricalcare a matita la foto su carta da lucido, dal monitor del mio PC, molto in grande, in modo da conservare tutti i dettagli possibili. Scansiono e monto in un unico grande pdf l’immagine che poi in Illustrator monto nel progetto finale da sottoporre a Daniela. Qui un particolare della parte superiore col volto:
Cerco di spingere la scelta dell’inquadratura su una versione che mantenga il volto più grande possibile, tagliando la parte bassa della statua che oltretutto mi complicherebbe la vita. Sono un pigro pensionato, che ci dovete fare? La ferma opposizione di Daniela mi stoppa e alla fine questa sottostante è la bozza scelta. Sarà durissima.
Inizio con la solita procedura, fissando la stampata della bozza scelta sulla lastra di alluminio pulita e sgrassata, interponendo un foglio di antica carta carbone e incidendo il tratto con la punta della fedele penna a sfera scarica. Ovviamente la concentrazione sale alle stelle quando affronto l’incisione del volto: lì davvero ogni decimo di millimetro ha un valore enorme, basta un nonnulla per rovinare tutto. Spero che lo sbalzo sul retro mi consenta di ottenere quello che desidero. Un conto è il disegno piano al tratto trasferito sulla lastra, un altro è la resa a sbalzo sulla lastra, coi volumi e i rilievi.
Finalmente ci siamo: dalle mie mani esce uno sbalzo, molto sofferto, ma di cui sono soddisfatto. Un lavoro proprio tosto. Ma, come ormai da prassi consolidata, il dubbio se lasciare l’opera solo a sbalzo (e solo protetta dalla vernice Macota) senza smaltatura mi sale spontaneo. No, meglio colorato, suggerisce Daniela. OK, capito!
Per colorare lo sbalzo come ipotizzo (rendere l’idea della luce che piove dall’alto della superficie marina), devo rimettere in funzione il mio antico areografo. Sono anni che non lo utilizzo. Da un primo esame sia il compressore che la pistola funzionano. E’ il 27 Aprile mattina. Il 26-4 ho montato la lastra sulla masonite, prima di procedere alla fase di colorazione; sgrasso e passo la paglietta fine per lucidare la lastra. Dopo una prova su un pezzo di lamiera, che mi sembra positiva, devo mascherare la cornice e riempire poi di “mare” l’immagine.
La fase di colorazione dura un po’ di tempo. Alla fine, dati gli ultimi ritocchi e microscopici colpi di luce (lasciando il metallo nudo in vista) mi sento molto soddisfatto. Sudatissimo però. Nel pomeriggio mi dedicherò alla verniciatura a spruzzo con il protettivo Macota e il lavoro sarà terminato.
Con il solito adesivo d’oro finisco il retro e lo firmo con la mia etichettina. Una dedica e via, lo consegno, con grande soddisfazione di Daniela che potrà fare un bellissimo regalo a Paolo. Per me, un’altra sfida affrontata con coraggio e portata termine con altrettanta soddisfazione della mia committente.
La richiesta di Fabio di inizio 2021 comprendeva 3 icone a sbalzo su alluminio e smalti: oltre alla santa Teresina del Bambin Gesù, una crocefissione e una resurrezione. Dopo aver sottoposto alla sua attenzione diversi originali di crocefissioni dei disegni di mio padre Ettore, la scelta è caduta su quella classificata come “0006-Crocifissione”, ma con alcune modifiche importanti come la cancellazione di Maria e san Giovanni dai lati della croce. (Io avrei preferito che rimanessero nella composizione, ma, si sa: il cliente ha sempre ragione, anche se ha torto).
Parto dalla cornice della santa Teresina per reimpostare la bozza del nuovo lavoro e riconfermo quindi le misure di 150x197mm, isolo il crocifisso e lo “ingabbio” con un fondo astratto, scontornando le estremità della croce. Poi in Illustrator ipotizzo dei colori per gli smalti. Ecco la bozza approvata:
Approfitto di una settimana di vacanza con mia figlia e la nipotina in Valsassina ai primi di Luglio, per portarmi dietro l’occorrente per procedere allo sbalzo nei momenti di tempo libero. Lo rifinisco poi al mio ritorno a Milano. Eccolo:
Con la stesura dei miei smalti liquidi per vetro della MARABU iniziano ovviamente i problemi. Come il latte quando inacidisce, ben sei colori fondamentali sono “cagliati”, addensati, viscosi e per nulla stendibili a pennello. Forse il caldo dei primi di luglio ha creato reazioni indesiderate, o forse le boccette hanno una data di scadenza? boh. Panico… uffa, mai una volta che vada tutto liscio? Provo con un colore (il blu genziana) a fare una diluizione col prodotto liquido apposito che dovrebbe fare da pulitore e diluente: avevo dei dubbi in proposito, purtroppo confermati dall’esperienza. Stesa una campitura col suddetto blu diluito, sembrerebbe a prima vista funzionare, ma appena si asciuga… disastro! Le crepe nel fango rinsecchito del deserto sono una pallida immagine di ciò che avviene. Devo ri-lavare tutto col cleaner e limitare la mia scelta cromatica o crearla con sovrapposizioni di velature dei colori ancora integri. Ordino poi i colori sostitutivi nuovi alla Hobbyland, che mi giungono in un paio di giorni (hanno ottimi articoli per hobby e belle arti, e i prezzi degli articoli sono più bassi rispetto a quelli del Brico sottocasa e hanno anche una gamma cromatica più ampia, quindi ne approfitto!). Alla fine, dopo la stesura di vernice protettiva MACOTA, come sempre, tra morti e feriti, portiamo a casa il risultato che qui vi mostro:
Come sempre il “cliente” è soddisfatto e io lo sono ancor di più. Un’altra sfida superata. Ora mi attende il terzo soggetto del trittico per Fabio: la Resurrezione. È già pronta per lo sbalzo… ma di questo tratterò nel prossimo post! Ciao a tutti.
Il giorno 30 maggio 2021 ho concluso, realizzandola in resina epossidica e smalti, la Copia n°2 della Copertina di Evangeliario per i volumi festivi in uso nella Diocesi di Milano, in formato A3. Una lavorazione che è durata parecchio: iniziata a marzo a ridosso della copia n° 1 (realizzata in resina, doratura in foglia d’oro, smalti da vetro Art Glas della Marabu, strass e cabochon in pietre dure), ha avuto un lento avanzamento, anche perché intervallata da altre realizzazioni di icone per amici.
Come promesso nell’articolo di descrizione della prima copia, ogni ulteriore copia della copertina è eseguita con la volontà di differenziare i risultati, in modo che non esista una riproduzione identica all’altra. In questo caso cambia la doratura, cambiano i colori, le pietre inserite e l’effetto generale. Così un eventuale acquirente può scegliere e ogni scelta sarà comunque originale, pur rifacendosi sempre al medesimo modello di partenza per la realizzazione.
Non ero rimasto soddisfatto del risultato della colata della resina della prima copia della Copertina di Evangeliario: aveva l’effetto del “Plasticone”, per cui avevo dovuto poi dorarla a foglia d’oro. In questo caso, per cercare subito un effetto doratura più brillante, ho fatto la colata di resina trasparente in due step. Per il primo, ho colato metà dello spessore di resina; non appena iniziava a rassodare ma era ancora un po’ adesiva ho ricoperto la superficie col pigmento oro mediante un piccolo setaccino di tulle (ovviamente autocostruito col tulle e un tappo di plastica del latte). Ho lasciato indurire la superficie poi ho spolverato via l’eccesso di pigmento con un pennello morbido. In seguito, secondo step, ho fatto la seconda colata di resina in modo da ottenere lo spessore totale deciso (4/5 mm),
Ovviamente non avevo idea di come sarebbe stato il risultato. Sorpresa! Diciamo,,, molto originale, anche se non era ancora quello che avevo in mente di ottenere, Mostro qui una foto, (a smaltatura già avviata, ma non ho fatto una foto alla copia appena sgusciata dal calco di silicone) per farvi rendere conto dell’effetto cristallo “dorato dentro”, che aveva un suo fascino che ho deciso di mantenere e, anzi, di valorizzare, lasciandomene ispirare.
Carino l’effetto, no? Ok, provate adesso a stendere lo smalto velocemente dovendo lottare contro il doppio riflesso della superficie e dell’ombra riportata sulla sottostante doratura. Non sapete più dove diavolo appoggiare il pennello intinto con lo smalto da stendere. Dopo un po’ gli occhi impazziscono e voi con loro. Anche per questo ci ho messo tantissimo tempo a smaltare e finire il tutto. Ho cercato di ovviare alla difficoltà con diversi escamotage, dal dipingere appoggiando la lastra sul tavolo luminoso al fine di lavorare in trasparenza (peggio che peggio), finché alla fine la soluzione risolutiva è stata mettermi sulla fronte una torcia cinese a led da speleologo e illuminare direttamente con quella sola illuminazione la lastra di resina.
Prima diversità di questa Copia n°2 della Copertina di Evangeliario è la scelta dei colori nelle varie campiture. Per forza i colori del Cristo, codificati come spiego nel post dell’originale, (la “Pace del Buon Pastore” nella Parrocchia di Gesù Buon Pastore a Milano, via Caboto 2) restano gli stessi. Gli altri subiscono modifiche considerevoli e sono anche costretto a fare uso di colori opachi sul viso e gli altri incarnati e sul rotolo. Sono costretto a opacizzare il volto, anche a costo di abbassarne la luminosità, perché la trasparenza e le ombre riportate sulla doratura avrebbero reso illeggibili i lineamenti. Cambiano i fondi del tetramorfo, dei simboli Alfa e Omega, delle greche della cornice, delle scritte, ecc
Anche per risolvere il problema appena accennato, decido che la croce centrale della Copia n° 2 della Copertina di Evangeliario deve essere più luminosa e brillante e quindi va dorata a foglia d’oro, come tutto il precedente pannello della copia n° 1. Maschero tutto il resto, metto il mordente solo sulla croce e, atteso il tempo necessario, applico la foglia d’oro, che una volta essiccata ricopro di diversi strati di vernice protettiva Macota. Ecco il risultato:
Lavoro, come dicevo con molte lunghe interruzioni e arrivo al 18 maggio avendo quasi terminato la smaltatura di quasi tutti i particolari. Inizio a incollare gli strass della mandorla e i piccoli cabochon sintetici del trono.
Porto a termine la smaltatura di tutti i particolari, tronco e tralci della vite, scritte e ritocchi vari e poi applico i cabochon che non hanno funzione ancorante alla sottocopertina esistente dell’Evangeliario, (i tre di ametista lilla nella mandorla e i 4 vicini alla mandorla, che sono di agata rosso-bruna). Saldo ai castoni forati, (col micro saldatore a gas butano col quale inizio a prendere la mano), dei chiodini semenzine e incollo i cabochon incastonati e ancorati alla resina, ripulendo prima le superfici da vernici o altri elementi che si potrebbero staccare.
Poi saldo col saldatore elettrico le viti di ancoraggio ai castoni dei bordi e inserisco, incollo e serro le pietre nei loro castoni.
Alla fine monto il tutto, ed ecco il risultato finale. Sono molto soddisfatto anche di questa Copia n°2 della Copertina di Evangeliario “La Pace del Buon Pastore”. Carina, no?
La Copia n°2 Evangeliario è stata donata il 31-5-22 da me e mia moglie Daniela a don Julian Carrón come segno di gratitudine per la sua paternità in tutti questi anni spesi nella guida appassionata della Fraternità di Comunione e Liberazione
Una piccola Madonna con Bambino, a sbalzo e smalto per il colombaro della zia Ilde che ci ha lasciato domenica 28 febbraio 2021. Si tratta della copia di un’opera di mio papà Ettore, realizzata all’incirca con la stessa tecnica.
La carissima zia Ilde, a quasi 97 anni (mancava giusto un mese al compleanno), è volata serenamente tra le braccia di Gesù e di Maria. A loro aveva dedicato, assieme al suo amatissimo zio Michele tutta la vita. Una vita fatta di attenzioni verso i più fragili, soprattutto i giovani; di evangelizzazione e di carità. Ma anche di dedizione per le case in cui abitiamo, che ha amministrato con passione fino a pochissimi anni fa. Insomma una grandissima zia, cui mi ha legato grandissimo affetto, fino agli ultimi suoi istanti di vita. Tutti noi parenti, in particolare noi cinque fratelli Paganini e i tre cugini Venturini le siamo grati per tutto il suo amore.
Dicevamo all’inizio che stavolta, pensando a uno sbalzo da realizzare per il monumento funebre degli zii, finalmente riuniti ancora insieme in un colombaro del cimitero di Musocco, mi sono lasciato ispirare non da uno dei disegni preparatori di papà, ma da un suo sbalzo finito. Mi piaceva molto per la delicatezza e la dolcezza dei tratti. Nonché per la sobrietà dei colori e degli effetti di chiaroscuro. Qui ve lo mostro:
Ho stampato e riportato su lastra di alluminio la figura della foto e ho iniziato lo sbalzo. Era una figura molto semplice e lineare, dovevo solo stare attento nelle parti dei visi e soprattutto del naso e delle bocca di entrambi. Ormai lo so che le difficoltà si annidano lì e nell’assenza di Ctrl Z delle cose fatte a mano.
Quando monto il supporto di masonite, lo predispongo con 4 chiodi passanti che fuoriescono dal retro, per consentire al marmista di montare lo sbalzo ancorandolo alla lastra marmorea forata, con mastice da marmista
Sto cercando di risalire, in questo caso, alla soluzione che mio papà adottava per “patinare” i suoi sbalzi prima di smaltarli. Mi ricordavo un composto alcolico o comunque non grasso, che non lasciava aloni e garantiva buona presa ai suoi smalti sintetici fatti forse di vernice “Zapon” e aniline colorate molto tossiche. Mi ricordavo che maneggiava bottigline di “Nero d’Inferno”, un colorante nero per il cuoio, in uso ai calzolai. Ma come e quanto lo diluisse e con che diavolo di diluente, resta uno dei misteri che neppure mia mamma si ricorda. Io comunque non ho Nero d’Inferno, al massimo una bottiglia di Nero d’Avola. Devo comunque fare una prova su una lastra apposta con la soluzione che troverò
Faccio il “giovane alchimista” mettendo in un barattolino pieno d’alcool gli interni fluff di tre pennarelli neri Pentel quasi scarichi e stendo poi la soluzione alcoolica sul un piccolissimo sbalzo di prova. Lascio asciugare e poi passo uno scottex di carta cercando di rilucidare lo sbalzo. Il risultato non è come me lo ricordavo uscire dalle mani paterne e oltretutto temo che la soluzione sia ancora troppo grassa. Comunque, arrivato ad un livello accettabile e non troppo maculato decido che è venuta l’ora di dare gli smalti e così faccio (In questo caso, notate bene, uso solo gli smalti dei bottiglini piccoli Glas Marabu). Il risultato non mi sembra affatto male anche dopo la verniciatura protettiva a Macota.
Poi allora passo allo sbalzo vero, quello della Madonna con Bambino: faccio lo stesso trattamento di patinatura col nero alcolico e poi smalto il fondo in colore 223 rosso cupo “Brombeere blackberry mure” e l’aureola in arancio (Ma qui uso l’arancio molto denso 422 Glas Art delle bottigline grandi Marabu: Grande errore! Ma me ne accorgerò più avanti). Ecco la Madonna con Bambino a smaltatura terminata, pronta per la verniciatura protettiva.
Fantastico, no? Ora, dovendo andare l’opera all’aria aperta, anche se al coperto delle gallerie laterali di Musocco, la protezione a Macota KZ100 è essenziale per la conservazione negli anni del bassorilievo, Ci dò dentro. Male, malissimo. L’aureola si gonfia e si mette a “busciare” sollevandosi e facendo reazione con la vernice protettiva: Disastro!!! E ora, che faccio?
Una soluzione già sperimentata a Opera nell’Ambone dell’Abbazia di Mirasole, consiste nel rimuovere lo smalto ammalorato con la lama di un cutter. Con precisione chirurgica e con molta calma. Così facendo si sfrisa il metallo sottostante. Se lo si sfrisa con una logica, ad esempio a raggiera, è possibile creare effetti interessanti e cangianti. Comunque non ho molta scelta. Lo faccio e rismalto tutto il fondo nella parte rovinata e tutta l’aureola con l’arancione Glas 013 affidabile. Perfetto. Poi passo la vernice protettiva e questa volta è tutto ok. Fiut! anche stavolta ce l’ho fatta!
Ora è pronta per andare dal marmista e vegliare sugli zii.