Siamo verso il 10 febbraio 2022. Mi chiama Enrica C., mia cara compagna di Liceo, con la quale c’è stato un ricontatto in tempi recenti attraverso la chat di classe, da lei voluta e portata avanti per continuare a tenere i rapporti tra gli ex compagni del Vittorio Veneto. (Le chat di questo tipo non sono mai state la mia passione, lo ammetto. Ma la sua passione per le persone e la sua memoria sconfinata -che ho sempre invidiato- hanno potuto ricostruire e tenere le fila della nostra classe liceale. La chat, iniziata durante la pandemia sta perdurando tuttora con picchi di interventi legati ai compleanni, agli onomastici, ai lutti e alle nascite dei nipotini e agli auguri natalizi e pasquali).
Enrica è perfettamente al corrente del lavoro che svolgeva mio padre e che ha sempre ammirato (lo ha anche conosciuto personalmente, assieme a mia mamma, ai tempi del nostro liceo. A Cusago, dove abita, poi c’è una bella via Crucis di papà nella chiesa parrocchiale dei SS. Fermo e Rustico e lei spesso me ne fa cenno), sa della mia attività sperimentale di iconografo a sbalzo e smalti su metallo perché segue questo blog e comunque per lei non è che una persona la si conosce e basta, no, no, diventa parte indelebile della sua esperienza personale e così riesce a portare nel cuore fedelmente tutti quelli che incontra, con tanto di data di compleanno/onomastico e ricorrenze varie.
Una che sa amare e sa fare memoria. Per conoscere bisogna amare. Lei è sempre stata così. (Ma da giovani certe cose non si capiscono o non si apprezzano a sufficienza). Mica roba da nulla, insomma, roba profonda. Un cristiano lo si riconosce tra mille. Il tutto vissuto con gioia, naturalezza e riconoscenza, nonostante le batoste che la vita non risparmia ad alcuno. E tutto ciò l’ho potuto riscoprire oggi, grazie solo alla sua fede, tenacia e passione.
Fatta questa doverosa e necessaria premessa, veniamo alla fatidica telefonata: “In giugno verrà ordinato sacerdote un caro amico, Francesco A. nato e vissuto a Cusago e abbiamo pensato di regalargli una sovraccopertina preziosa delle tue per il suo Breviario personale, che ne dici? Ci sono in vendita delle sovraccopertine in pelle o similpelle a cui andrebbe applicato il tuo capolavoro. Misure standard 11×18”.
Un nota bene perché altrimenti non si capisce il mio iniziale imbarazzo nella risposta. Già, perché non è stato un sì deciso…
Dico comunque un sì titubante, metto le mani avanti e mi impegno comunque a inviarLe qualche bozzetto di mio padre sul tema “Buon Pastore”. Trovo poco o niente, e sono poco convinto io per primo di ciò che le invio in whatsapp l’11 febbraio. Lei lo apprezza molto, ma io continuo a cercare altre soluzioni più convincenti.
Alla fine trovo in internet una icona orientale (rumena? Boh, la trovo pubblicata su un’infinità di siti) che mi piace molto e decido di partire da quella, rielaborando e modificando il disegno da riprodurre a sbalzo e smalto.
Il 10 marzo le mostro il disegno base elaborato, che dovrò poi adattare alle misure molto verticali della formella da realizzare. Non so ancora se e cosa smalterò. Le idee mi si chiariranno strada facendo… spero.
Sistemo il bozzetto nelle misure ed inserisco la frase di Cristo in latino: “Ego sum pastor bonus”: frase programmatica non solo apprezzabile, ma assolutamente necessaria per chi, prete novello, è chiamato a fare della sua vita una perfetta imitazione di Cristo anche nel ministero sacerdotale. Il buon pastore dà la vita per le sue pecore, alle sue pecore.
Intorno al 20 maggio, stampata la bozza e applicata alla lastra di ottone, inizio timidamente la fase di sbalzo, ma che fatica riprendere questo tipo di lavoro, accantonato da così tanti mesi! Poi l’ottone ha troppi riflessi e sono costretto a spalmare fronte e retro sulla lastra un po’ di tempera bianca per abbassare i riflessi accecanti. Questo ha i suoi svantaggi perché vien meno la scorrevolezza delle punte sulla lastra.
Di qualcosa bisogna pur morire. Una sudata notevole per portare a termine lo sbalzo, che come sempre, ha nella definizione dei lineamenti del volto la parte più difficile da ottenere secondo quello che si desidera e ci si era prefissati.
Intanto ecco la lastra sbalzata ma non ancora ritagliata, piegata, fissata, “imbottita” di mastice. Per procedere a realizzare queste fasi devo prima decidere quanto sarà lo spessore del supporto su cui piegare i lembi della lastra.
Dopo il passo della prima piegatura passo a riempire i vuoti sul retro con mastice da marmista, bicomponente a presa rapida, in modo da impedire schiacciamenti accidentali dei volumi più pronunciati e dare solidità alla lastra. Qui vediamo il retro col mastice applicato.
Una volta asciugato il mastice, ho ritagliato il cartone di supporto con i 4 bulloncini passanti, negli angoli, per il fissaggio al copri-breviario, e con abbondante colla di fissaggio riempitiva l’ho fatto aderire al retro e poi ho ripiegato le 4 alette di ottone fissandole con Attack al cartone. Poi ho ritagliato anche il plexiglass bianco opalino rigido che servirà a serrare lo sbalzo alla custodia di (finta) pelle. Alla fine, ho imbullonato e messo tutto il sandwich sotto pressa ad asciugare per una giornata intera, in modo di scongiurare eventuali deformazioni dovute alle tensioni interne durante l’asciugatura della colla.
Mando in visione ad Enrica lo sbalzo il 26-5, per dire, “ecco, sono arrivato qui”. Lei lo interpreta quasi come: “E’ finito”. “E’ fantastico. A me piacerebbe smaltato colorato, ma vedi tu. Certamente lo userà tutti i giorni. Dammi un consiglio. ecc”. A questo punto ci sentiamo e poi passa da me a consegnarmi la custodia acquistata, a fine maggio (e ne approfittiamo per farci una bella chiacchierata per colmare di persona 50 anni di non presenza). In realtà siamo al solito dubbio che mi prende a questo punto del lavoro: “…e, se lo lasciassi così, nudo e crudo, senza smaltare alcunché?” Bello, è bello anche così, non faccio per vantarmi, magari poi lo rovino. E poi c’è il discorso dell’unto delle mani, dell’usura, ecc. Che fare?
E poi, nel caso decidessi per la smaltatura, come fare? Eh, sì, perché oltretutto le icone vere hanno una codifica precisa dei colori da utilizzare: fondo oro, le vesti di Cristo rosse a significare la Sua Divinità rivestita di Umanità (mantello blu / turchese), eccetera. Sarebbe bello. Ma è proprio ciò che vorrei evitare, (dipingere le parti più sporgenti e quindi più soggette ad eventuale usura da sfregamento). Allora opto per un compromesso ragionevole: dimenticarsi delle vere icone orientali e dipingere solo il fondo in blu, l’aureola di arancione e la fascia delle scritte in rosso. La mia ennesima pseudoicona.
Non ho detto una cosa importantissima: tra quando ho inviato il whatsapp con lo sbalzo terminato e questo momento della smaltatura, siamo arrivati al 9 giugno, proprio sotto la data di ordinazione del sacerdote che sarà ordinato in Duomo sabato 11 giugno. Domenica 12-6 prima messa a Cusago, occasione per porgergli il dono. Una telefonata imperativa di Enrica mi toglie dalle ultime remore del dubbio. Con timore e tremore mi metto quindi all’opera e in un pomeriggio lo smalto è steso e asciugato.
Le invio con whatsapp i vari step della smaltatura: eccone uno.
Finito lo smalto e prima di fissare la formella alla custodia decido di applicare quante più mani di vernice protettiva MACOTA KZ100 (quella che usano i carrozzieri per proteggere i cerchioni delle automobili) per creare uno strato inattaccabile dagli acidi epidermici. Ne spruzzo 6/7 strati incrociati, per sicurezza.
Il 10/6 pomeriggio Enrica sarebbe passata a ritirare l’opera. Dovevo finire il tutto in tutta fretta. Vietato sbagliare. Enrica mi chiede di inserire i miei dati, la firma, e una descrizione dell’opera all’interno della custodia. Ecco i particolari dell’operazione:
Ecco fatto, ed ecco lo sbalzo fissato alla custodia:
Ecco l’immaginetta ricordo di don Francesco.
Com’è andata? Risposta: “Dire “Lode a Dio, al Figlio e allo Spirito d’Amore ” è ancora poco e limitativo. È stato gioia vera in Duomo, a Cusago, ieri pomeriggio nella Cappella della Cascina Robaione (Cusago) in cui è custodito il primo simulacro della Vergine Maria di Caravaggio è dove don Francesco ha celebrato il suo affidamento a Maria e… Il tuo capolavoro è stato molto apprezzato e ve ne siamo grati. La benedizione apostolica impartita ieri scenda copiosa su voi tutti. Un abbraccio fraterno a te e a Daniela. Vi aspettiamo!!!”
Il 30 Agosto 2021 gli amici Renzo e Graziella celebrano il loro 50° anniversario di matrimonio: una sacra famiglia, per natura, come Dio l’ha immaginata e creata, checché se ne dica, a dispetto di tutti i limiti della nostra condizione, giacché non si arriva ad un simile traguardo senza l’intervento della Provvidenza che dialoga con la debole libertà di noi esseri umani e porta a compimento la Sua promessa di pienezza, attendendo solo i nostri sì.
La nostra storia, (e il dramma della nostra libertà), è storia sacra, diceva il grande Aldo Baldini.
E allora, Sacra Famiglia sia, anche il nostro regalo e il nostro pensiero per questa felice ricorrenza. Contempliamo stupefatti in loro “le grandi cose che fa in noi l’Onnipotente, e Santo è il Suo nome”, parafrasando il Magnificat.
L’input e l’idea luminosa mi vengono suggeriti da Cristina e quindi prontamente allargata a Guido e Patrizia, Alberto e Manuela, che parteciperanno al regalo.
Cerco nell’archivio di disegni di mio padre Ettore una immagine che faccia al caso nostro e trovo una Natività che sembra fatta apposta. Dovrò modificare qualche particolare, come si nota, ma la 0053 è ottima per il nostro scopo.
Mi metto all’opera tra il 31 luglio e il 2 agosto e in breve ottengo dalla lastra di alluminio uno sbalzo ben fatto, che qui vi mostro. Le difficoltà sono, come sempre, generate dai volti, vere miniature in rilievo, dove basta un nonnulla per rovinare tutto.
Una volta montato lo sbalzo sulla sua masonite mi faccio prendere dalla smania dell’alchimista in erba e immagino di brunire il luminoso e argenteo alluminio in modo da farlo apparire come un bronzo. Facile a dirsi, meno a farsi. Avevo, invero, già sperimentato una soluzione alcolica con estratto di pennarello indelebile e altre sostanze segrete, che però non mi sembrava desse i risultati sperati. Erano cioè risultati molto effimeri e delicati e andavano fissati con la vernice finale; avevo bisogno invece di qualcosa di più “sostanziale” e duraturo. Per caso trovo in cantina una vecchia bustina di polvere di anilina nera (probabilmente un po’ tossica…) dei materiali avanzati di mio padre e ne mescolo un po’ nel mio intruglio filosofale. Avventatamente provo a strofinare a forza la soluzione con un tampone sulla superficie (lucidata a paglietta sottile), che man mano diviene proprio brunita. Una prova di lavaggio con alcool mi conferma che il tono è stato assorbito dal metallo a livello molecolare. Ottimo, no?
Bene! Allora finisco l’opera con qualche tocco di smalto arancio solo sulle aureole. Ho deciso infatti di dare un carattere sobrio all’opera. Il calore della brunitura mi sembra sufficiente come colorazione. Alla fine una spruzzata di vernice Macota che fissa il tutto non si nega a nessuno. Monto poi l’opera su un blocchetto di truciolare rivestito di pannolenci rosso cupo che mi sembra valorizzi assai bene la luminosità della sacra scena familiare. Impacchetto poi il tutto per la ricorrenza del 30 agosto.
Un nuovo sbalzo che è davvero una sfida: il soggetto devo svilupparlo dalle foto della statua del “Cristo degli abissi”, posizionato sul fondo della baia di san Fruttuoso (GE), senza poter far riferimento a nessuna delle opere di mio padre Ettore. La richiesta mi giunge, un po’ di sorpresa, il 9 febbraio 2021 da una cara amica, Daniela, che ne vuol fare dono in agosto per il 70° compleanno del marito Paolo, appassionato di immersioni in quel mare ligure. Come dire di no?
Questo post quindi resta sotto embargo fino ad agosto e lo pubblicherò solo a compleanno compiuto, per non rovinare in alcun modo la sorpresa.
(Oggi, 31 agosto 2021 viene sbloccato. Auguri, Paolo!)
Tutta la mia esperienza elaborata finora nel campo delle icone a sbalzo, non la valuto sufficiente per affrontare questa sfida. Soprattutto mi preoccupano l’immagine di partenza (ne trovo molte in internet, ma nessuna mi soddisfa; molte sono incrostate di alghe e bestie marine o sono tagliate a mezzobusto o mostrano solo il volto, mentre l’input è di avere la figura intera) e la colorazione che dovrò sperimentare. La stesura ad aerografo degli smalti per vetro, calcolando la loro rapidità di essicazione, mi getta nell’angoscia. (Ovviamente dovrò fare una prova, prima).
Siamo ai primi di aprile 2021 quando finalmente prendo in carico la “commessa” di febbraio. Decidiamo via whatsapp le misure: 20×27,6. Decidiamo il metallo per lo sbalzo: visti i colori prevalentemente freddi la scelta cade sicuramente sull’alluminio. Poi frugando nei meandri di Internet trovo finalmente la foto della statua appena uscita dalla fucina dell’artista: lo scultore Guido Galletti che la realizzò nel 1952 su idea di Duilio Marcante. L’opera venne poi piazzata sul fondo della baia il 29-08-1954, in ricordo della morte in quelle acque di Dario Gonzatti, inventore e subacqueo. La foto ha il pregio di essere a figura intera e perfettamente pulita da incrostazioni, quindi decifrabile anche nei lineamenti del volto. (Cosa essenziale, viste anche le dimensioni del volto che dovrò sbalzare)
7 Aprile. Inizio a ricalcare a matita la foto su carta da lucido, dal monitor del mio PC, molto in grande, in modo da conservare tutti i dettagli possibili. Scansiono e monto in un unico grande pdf l’immagine che poi in Illustrator monto nel progetto finale da sottoporre a Daniela. Qui un particolare della parte superiore col volto:
Cerco di spingere la scelta dell’inquadratura su una versione che mantenga il volto più grande possibile, tagliando la parte bassa della statua che oltretutto mi complicherebbe la vita. Sono un pigro pensionato, che ci dovete fare? La ferma opposizione di Daniela mi stoppa e alla fine questa sottostante è la bozza scelta. Sarà durissima.
Inizio con la solita procedura, fissando la stampata della bozza scelta sulla lastra di alluminio pulita e sgrassata, interponendo un foglio di antica carta carbone e incidendo il tratto con la punta della fedele penna a sfera scarica. Ovviamente la concentrazione sale alle stelle quando affronto l’incisione del volto: lì davvero ogni decimo di millimetro ha un valore enorme, basta un nonnulla per rovinare tutto. Spero che lo sbalzo sul retro mi consenta di ottenere quello che desidero. Un conto è il disegno piano al tratto trasferito sulla lastra, un altro è la resa a sbalzo sulla lastra, coi volumi e i rilievi.
Finalmente ci siamo: dalle mie mani esce uno sbalzo, molto sofferto, ma di cui sono soddisfatto. Un lavoro proprio tosto. Ma, come ormai da prassi consolidata, il dubbio se lasciare l’opera solo a sbalzo (e solo protetta dalla vernice Macota) senza smaltatura mi sale spontaneo. No, meglio colorato, suggerisce Daniela. OK, capito!
Per colorare lo sbalzo come ipotizzo (rendere l’idea della luce che piove dall’alto della superficie marina), devo rimettere in funzione il mio antico areografo. Sono anni che non lo utilizzo. Da un primo esame sia il compressore che la pistola funzionano. E’ il 27 Aprile mattina. Il 26-4 ho montato la lastra sulla masonite, prima di procedere alla fase di colorazione; sgrasso e passo la paglietta fine per lucidare la lastra. Dopo una prova su un pezzo di lamiera, che mi sembra positiva, devo mascherare la cornice e riempire poi di “mare” l’immagine.
La fase di colorazione dura un po’ di tempo. Alla fine, dati gli ultimi ritocchi e microscopici colpi di luce (lasciando il metallo nudo in vista) mi sento molto soddisfatto. Sudatissimo però. Nel pomeriggio mi dedicherò alla verniciatura a spruzzo con il protettivo Macota e il lavoro sarà terminato.
Con il solito adesivo d’oro finisco il retro e lo firmo con la mia etichettina. Una dedica e via, lo consegno, con grande soddisfazione di Daniela che potrà fare un bellissimo regalo a Paolo. Per me, un’altra sfida affrontata con coraggio e portata termine con altrettanta soddisfazione della mia committente.
La richiesta di Fabio di inizio 2021 comprendeva 3 icone a sbalzo su alluminio e smalti: oltre alla santa Teresina del Bambin Gesù, una crocefissione e una resurrezione. Dopo aver sottoposto alla sua attenzione diversi originali di crocefissioni dei disegni di mio padre Ettore, la scelta è caduta su quella classificata come “0006-Crocifissione”, ma con alcune modifiche importanti come la cancellazione di Maria e san Giovanni dai lati della croce. (Io avrei preferito che rimanessero nella composizione, ma, si sa: il cliente ha sempre ragione, anche se ha torto).
Parto dalla cornice della santa Teresina per reimpostare la bozza del nuovo lavoro e riconfermo quindi le misure di 150x197mm, isolo il crocifisso e lo “ingabbio” con un fondo astratto, scontornando le estremità della croce. Poi in Illustrator ipotizzo dei colori per gli smalti. Ecco la bozza approvata:
Approfitto di una settimana di vacanza con mia figlia e la nipotina in Valsassina ai primi di Luglio, per portarmi dietro l’occorrente per procedere allo sbalzo nei momenti di tempo libero. Lo rifinisco poi al mio ritorno a Milano. Eccolo:
Con la stesura dei miei smalti liquidi per vetro della MARABU iniziano ovviamente i problemi. Come il latte quando inacidisce, ben sei colori fondamentali sono “cagliati”, addensati, viscosi e per nulla stendibili a pennello. Forse il caldo dei primi di luglio ha creato reazioni indesiderate, o forse le boccette hanno una data di scadenza? boh. Panico… uffa, mai una volta che vada tutto liscio? Provo con un colore (il blu genziana) a fare una diluizione col prodotto liquido apposito che dovrebbe fare da pulitore e diluente: avevo dei dubbi in proposito, purtroppo confermati dall’esperienza. Stesa una campitura col suddetto blu diluito, sembrerebbe a prima vista funzionare, ma appena si asciuga… disastro! Le crepe nel fango rinsecchito del deserto sono una pallida immagine di ciò che avviene. Devo ri-lavare tutto col cleaner e limitare la mia scelta cromatica o crearla con sovrapposizioni di velature dei colori ancora integri. Ordino poi i colori sostitutivi nuovi alla Hobbyland, che mi giungono in un paio di giorni (hanno ottimi articoli per hobby e belle arti, e i prezzi degli articoli sono più bassi rispetto a quelli del Brico sottocasa e hanno anche una gamma cromatica più ampia, quindi ne approfitto!). Alla fine, dopo la stesura di vernice protettiva MACOTA, come sempre, tra morti e feriti, portiamo a casa il risultato che qui vi mostro:
Come sempre il “cliente” è soddisfatto e io lo sono ancor di più. Un’altra sfida superata. Ora mi attende il terzo soggetto del trittico per Fabio: la Resurrezione. È già pronta per lo sbalzo… ma di questo tratterò nel prossimo post! Ciao a tutti.
Il giorno 30 maggio 2021 ho concluso, realizzandola in resina epossidica e smalti, la Copia n°2 della Copertina di Evangeliario per i volumi festivi in uso nella Diocesi di Milano, in formato A3. Una lavorazione che è durata parecchio: iniziata a marzo a ridosso della copia n° 1 (realizzata in resina, doratura in foglia d’oro, smalti da vetro Art Glas della Marabu, strass e cabochon in pietre dure), ha avuto un lento avanzamento, anche perché intervallata da altre realizzazioni di icone per amici.
Come promesso nell’articolo di descrizione della prima copia, ogni ulteriore copia della copertina è eseguita con la volontà di differenziare i risultati, in modo che non esista una riproduzione identica all’altra. In questo caso cambia la doratura, cambiano i colori, le pietre inserite e l’effetto generale. Così un eventuale acquirente può scegliere e ogni scelta sarà comunque originale, pur rifacendosi sempre al medesimo modello di partenza per la realizzazione.
Non ero rimasto soddisfatto del risultato della colata della resina della prima copia della Copertina di Evangeliario: aveva l’effetto del “Plasticone”, per cui avevo dovuto poi dorarla a foglia d’oro. In questo caso, per cercare subito un effetto doratura più brillante, ho fatto la colata di resina trasparente in due step. Per il primo, ho colato metà dello spessore di resina; non appena iniziava a rassodare ma era ancora un po’ adesiva ho ricoperto la superficie col pigmento oro mediante un piccolo setaccino di tulle (ovviamente autocostruito col tulle e un tappo di plastica del latte). Ho lasciato indurire la superficie poi ho spolverato via l’eccesso di pigmento con un pennello morbido. In seguito, secondo step, ho fatto la seconda colata di resina in modo da ottenere lo spessore totale deciso (4/5 mm),
Ovviamente non avevo idea di come sarebbe stato il risultato. Sorpresa! Diciamo,,, molto originale, anche se non era ancora quello che avevo in mente di ottenere, Mostro qui una foto, (a smaltatura già avviata, ma non ho fatto una foto alla copia appena sgusciata dal calco di silicone) per farvi rendere conto dell’effetto cristallo “dorato dentro”, che aveva un suo fascino che ho deciso di mantenere e, anzi, di valorizzare, lasciandomene ispirare.
Carino l’effetto, no? Ok, provate adesso a stendere lo smalto velocemente dovendo lottare contro il doppio riflesso della superficie e dell’ombra riportata sulla sottostante doratura. Non sapete più dove diavolo appoggiare il pennello intinto con lo smalto da stendere. Dopo un po’ gli occhi impazziscono e voi con loro. Anche per questo ci ho messo tantissimo tempo a smaltare e finire il tutto. Ho cercato di ovviare alla difficoltà con diversi escamotage, dal dipingere appoggiando la lastra sul tavolo luminoso al fine di lavorare in trasparenza (peggio che peggio), finché alla fine la soluzione risolutiva è stata mettermi sulla fronte una torcia cinese a led da speleologo e illuminare direttamente con quella sola illuminazione la lastra di resina.
Prima diversità di questa Copia n°2 della Copertina di Evangeliario è la scelta dei colori nelle varie campiture. Per forza i colori del Cristo, codificati come spiego nel post dell’originale, (la “Pace del Buon Pastore” nella Parrocchia di Gesù Buon Pastore a Milano, via Caboto 2) restano gli stessi. Gli altri subiscono modifiche considerevoli e sono anche costretto a fare uso di colori opachi sul viso e gli altri incarnati e sul rotolo. Sono costretto a opacizzare il volto, anche a costo di abbassarne la luminosità, perché la trasparenza e le ombre riportate sulla doratura avrebbero reso illeggibili i lineamenti. Cambiano i fondi del tetramorfo, dei simboli Alfa e Omega, delle greche della cornice, delle scritte, ecc
Anche per risolvere il problema appena accennato, decido che la croce centrale della Copia n° 2 della Copertina di Evangeliario deve essere più luminosa e brillante e quindi va dorata a foglia d’oro, come tutto il precedente pannello della copia n° 1. Maschero tutto il resto, metto il mordente solo sulla croce e, atteso il tempo necessario, applico la foglia d’oro, che una volta essiccata ricopro di diversi strati di vernice protettiva Macota. Ecco il risultato:
Lavoro, come dicevo con molte lunghe interruzioni e arrivo al 18 maggio avendo quasi terminato la smaltatura di quasi tutti i particolari. Inizio a incollare gli strass della mandorla e i piccoli cabochon sintetici del trono.
Porto a termine la smaltatura di tutti i particolari, tronco e tralci della vite, scritte e ritocchi vari e poi applico i cabochon che non hanno funzione ancorante alla sottocopertina esistente dell’Evangeliario, (i tre di ametista lilla nella mandorla e i 4 vicini alla mandorla, che sono di agata rosso-bruna). Saldo ai castoni forati, (col micro saldatore a gas butano col quale inizio a prendere la mano), dei chiodini semenzine e incollo i cabochon incastonati e ancorati alla resina, ripulendo prima le superfici da vernici o altri elementi che si potrebbero staccare.
Poi saldo col saldatore elettrico le viti di ancoraggio ai castoni dei bordi e inserisco, incollo e serro le pietre nei loro castoni.
Alla fine monto il tutto, ed ecco il risultato finale. Sono molto soddisfatto anche di questa Copia n°2 della Copertina di Evangeliario “La Pace del Buon Pastore”. Carina, no?
La Copia n°2 Evangeliario è stata donata il 31-5-22 da me e mia moglie Daniela a don Julian Carrón come segno di gratitudine per la sua paternità in tutti questi anni spesi nella guida appassionata della Fraternità di Comunione e Liberazione
Una piccola Madonna con Bambino, a sbalzo e smalto per il colombaro della zia Ilde che ci ha lasciato domenica 28 febbraio 2021. Si tratta della copia di un’opera di mio papà Ettore, realizzata all’incirca con la stessa tecnica.
La carissima zia Ilde, a quasi 97 anni (mancava giusto un mese al compleanno), è volata serenamente tra le braccia di Gesù e di Maria. A loro aveva dedicato, assieme al suo amatissimo zio Michele tutta la vita. Una vita fatta di attenzioni verso i più fragili, soprattutto i giovani; di evangelizzazione e di carità. Ma anche di dedizione per le case in cui abitiamo, che ha amministrato con passione fino a pochissimi anni fa. Insomma una grandissima zia, cui mi ha legato grandissimo affetto, fino agli ultimi suoi istanti di vita. Tutti noi parenti, in particolare noi cinque fratelli Paganini e i tre cugini Venturini le siamo grati per tutto il suo amore.
Dicevamo all’inizio che stavolta, pensando a uno sbalzo da realizzare per il monumento funebre degli zii, finalmente riuniti ancora insieme in un colombaro del cimitero di Musocco, mi sono lasciato ispirare non da uno dei disegni preparatori di papà, ma da un suo sbalzo finito. Mi piaceva molto per la delicatezza e la dolcezza dei tratti. Nonché per la sobrietà dei colori e degli effetti di chiaroscuro. Qui ve lo mostro:
Ho stampato e riportato su lastra di alluminio la figura della foto e ho iniziato lo sbalzo. Era una figura molto semplice e lineare, dovevo solo stare attento nelle parti dei visi e soprattutto del naso e delle bocca di entrambi. Ormai lo so che le difficoltà si annidano lì e nell’assenza di Ctrl Z delle cose fatte a mano.
Quando monto il supporto di masonite, lo predispongo con 4 chiodi passanti che fuoriescono dal retro, per consentire al marmista di montare lo sbalzo ancorandolo alla lastra marmorea forata, con mastice da marmista
Sto cercando di risalire, in questo caso, alla soluzione che mio papà adottava per “patinare” i suoi sbalzi prima di smaltarli. Mi ricordavo un composto alcolico o comunque non grasso, che non lasciava aloni e garantiva buona presa ai suoi smalti sintetici fatti forse di vernice “Zapon” e aniline colorate molto tossiche. Mi ricordavo che maneggiava bottigline di “Nero d’Inferno”, un colorante nero per il cuoio, in uso ai calzolai. Ma come e quanto lo diluisse e con che diavolo di diluente, resta uno dei misteri che neppure mia mamma si ricorda. Io comunque non ho Nero d’Inferno, al massimo una bottiglia di Nero d’Avola. Devo comunque fare una prova su una lastra apposta con la soluzione che troverò
Faccio il “giovane alchimista” mettendo in un barattolino pieno d’alcool gli interni fluff di tre pennarelli neri Pentel quasi scarichi e stendo poi la soluzione alcoolica sul un piccolissimo sbalzo di prova. Lascio asciugare e poi passo uno scottex di carta cercando di rilucidare lo sbalzo. Il risultato non è come me lo ricordavo uscire dalle mani paterne e oltretutto temo che la soluzione sia ancora troppo grassa. Comunque, arrivato ad un livello accettabile e non troppo maculato decido che è venuta l’ora di dare gli smalti e così faccio (In questo caso, notate bene, uso solo gli smalti dei bottiglini piccoli Glas Marabu). Il risultato non mi sembra affatto male anche dopo la verniciatura protettiva a Macota.
Poi allora passo allo sbalzo vero, quello della Madonna con Bambino: faccio lo stesso trattamento di patinatura col nero alcolico e poi smalto il fondo in colore 223 rosso cupo “Brombeere blackberry mure” e l’aureola in arancio (Ma qui uso l’arancio molto denso 422 Glas Art delle bottigline grandi Marabu: Grande errore! Ma me ne accorgerò più avanti). Ecco la Madonna con Bambino a smaltatura terminata, pronta per la verniciatura protettiva.
Fantastico, no? Ora, dovendo andare l’opera all’aria aperta, anche se al coperto delle gallerie laterali di Musocco, la protezione a Macota KZ100 è essenziale per la conservazione negli anni del bassorilievo, Ci dò dentro. Male, malissimo. L’aureola si gonfia e si mette a “busciare” sollevandosi e facendo reazione con la vernice protettiva: Disastro!!! E ora, che faccio?
Una soluzione già sperimentata a Opera nell’Ambone dell’Abbazia di Mirasole, consiste nel rimuovere lo smalto ammalorato con la lama di un cutter. Con precisione chirurgica e con molta calma. Così facendo si sfrisa il metallo sottostante. Se lo si sfrisa con una logica, ad esempio a raggiera, è possibile creare effetti interessanti e cangianti. Comunque non ho molta scelta. Lo faccio e rismalto tutto il fondo nella parte rovinata e tutta l’aureola con l’arancione Glas 013 affidabile. Perfetto. Poi passo la vernice protettiva e questa volta è tutto ok. Fiut! anche stavolta ce l’ho fatta!
Ora è pronta per andare dal marmista e vegliare sugli zii.
Poco prima della consegna dell’originale de “La pace del Buon Pastore” ho realizzato (a fine fase sbalzo e montaggio) un calco in silicone da cui poter ricavare un numero limitato di copie in resina.
N.B.- Non è un imbroglio al mio parroco, anzi gliel’ho comunicata per tempo questa mia volontà, e da lui ho avuto l’OK. La parrocchia di Gesù Buon Pastore a Milano ha l’originale (Opera unica originale) in ottone sbalzato e smaltato, chi fosse interessato ad una delle (50) copie in resina che realizzerò, saprà di averne acquistata una numerata e firmata.
Le copie non saranno né identiche all’originale, né l’una all’altra. Perché? Dall’originale, per un mucchio di motivi: per la composizione in resina innanzitutto, per i colori degli smalti, per la scelta delle pietre dei cabochon e dei brillanti, per l’uso della foglia d’oro o del pigmento oro. A parte il primo motivo, tutti gli altri faranno la differenza tra le diverse copie. Insomma non se ne troverà una identica ad un’altra, ognuna a suo modo sarà un originale, pur mantenendo un’impronta familiare che le accomuna.
Questo post verrà aggiornato ogni volta al termine della realizzazione di ogni copia numerata (che si aggiungerà in fondo) con le sue specificità. Qui all’inizio trovate la descrizione della prima lavorazione con le fasi comuni inserite una volta per tutte.
Per realizzare l’impronta di silicone (tutti gli ingredienti dell’operazione “copie” sono della Resin Pro) ho dovuto imparare un po’ di cosette, non è che si nasce “imparati”. E non bastano neppure le decine di tutorial che mi sorbisco da youtube. L’ideale sarebbe avere un maestro al fianco che ti fa vedere e provare. Si impara solo sbagliando, mettendo le “mani in pasta”; Per l’appunto… ed ecco quindi il primo errore madornale: acquisto una fantastica pasta gialla di silicone bicomponente a indurimento rapido e impasto con goduria il “misciotto”; lo stendo sopra la lastra metallica, cercando di premerla bene e di tirarla fino ai bordi come se fosse l’impasto di una pizza o della plastilina. Ma il risultato, ahimé, non è quello sperato.
Dopo il tempo di indurimento, lo stacco dell’impronta (che vien via benissimo senza opporre resistenza) ed ecco l’amara sorpresa: L’aria esiste e non è uguale al nulla. Bolle dappertutto. Vasetti di silicone finiti. Bisogna ricominciare tutto daccapo.
Ordino a questo punto i barattoli di liquido siliconico bianco bicomponente, che stavolta non mi deludono. Solo che qui devo preparare prima della colata una cassaforma di contenimento perché il liquido non coli fuori e non si disperda. Ma, alla fine, il risultato è ok. Anche qui l’insidia è rappresentata dalle bolle d’aria, ma con un po’ di attenzione e aria calda del phon vengono a galla e spariscono prima che la reazione di coagulazione avvenga.
Mi stupisce la perfetta aderenza ai particolari dell’originale: gli sfrisi sull’aureola (lo spessore sarà solo di qualche micron) sono perfettamente evidenti! E il tutto si stacca poi come l’exuvie di una cicala.
Bene, direte voi. Benino, dico io. Mi si presenta un problema da risolvere: il morbido ed elastico spessore gommoso è di un paio di millimetri al massimo e occorrerà preparare un ulteriore supporto posteriore rigido che mantenga all’impronta gli stessi dislivelli dell’originale e gli ridia quella rigidità complessiva che ora manca. Così è mollissimo e si adagia come uno straccio bagnato su qualsiasi superficie. Quindi preparo un’ulteriore cassaforma intorno al silicone appoggiato sull’originale, dentro cui colare uno spessore di scagliola di gesso che vada ad irrobustire il retro del calco. Detto fatto.
Ora va bene davvero. La fase della colatura della resina invece mi intimorisce per un mucchio di motivi, come avviene per tutte le cose che non si conoscono. Bisognerà prendere dimestichezza e farci l’occhio (su qualità, tempi e quantità dei componenti). Già mi rendo conto, a partire da uno scambio di mail e telefonate con Resin Pro, che i flaconcini di resina acquistati insieme al silicone non saranno minimamente sufficienti per ottenere lo spessore desiderato che dovrà essere mediamente di 4/5 mm. Poi, siccome la fantasia vola alta specie se non ha la zavorra dell’esperienza, immagino che miscelando alla resina una quantità definita di pigmento oro otterrò uno splendido manufatto risplendente d’oro a specchio. Ordino quindi due nuovi flaconi di resina bicomponente trasparente e una boccetta di pigmento oro per artisti.
Mammamia! Che tensione la prima miscelazione dei componenti. Dal calcolo fatto metto 370 grammi di A, 10 gr di pigmento e miscelo, poi su questi 380 grammi aggiungo, mescolando lentamente per alcuni minuti, 244 grammi di preparato B per un totale da versare nello stampo di 624 grammi di miscela, che va a riempire perfettamente l’impronta siliconica col sottostante supporto di gesso. Per l’emozione mi dimentico di azionare il phon e qualche micro bollicina si presenterà alla fine, ma sono tutte “carie” vicine ai bordi e ben mascherabili.
Noto che il composto sviluppa un certo calore in fase di reazione e, soprattutto, che il tempo di solidificazione è assai più lungo di quello preventivato. Sembra duro, ma se premo con un dito sul dorso noto che restano le impronte digitali per un po’ e poi vengono riassorbite dall’impasto. Noto anche che il pigmento si dispone secondo delle specie di moti convettivi interni alla soluzione, accalcandosi verso il centro. L’effetto, sul retro non è quello sperato: non mi sembra per nulla un effetto metallo a specchio. Ma la speranza che invece sul fronte il metallo precipiterà a formare una superficie splendente resta intatta fino al momento di sgusciare il manufatto.
Beh, si temporeggia per un po’ non sapendo che pesci pigliare. Intravedo tre strade per la soluzione del problema: quella della doratura a galvanoplastica, quella della verniciatura metallizzata spray e quella della foglia d’oro con missione all’olio.
Un bel casino. Inizio a cercare in Internet chi fa galvanoplastica e dopo un po’ di tempo capisco che è una strada molto difficile da battere. Volendo ci sono anche dei kit per il “fai da te” molto interessanti (Vedi TIFOO, per esempio, che dora anche frutta e ortaggi), ma dimensioni dell’oggetto e problematicità sulla parte elettrica (dimensioni e capacità dei generatori, dimensioni vasche e distanze anodi e catodi) mi fanno orientare su chi la galvanica la fa di professione. Solo una azienda del Bresciano mi dà alla fine qualche speranza di fattibilità, con tanto di preventivo di massima e costi ragionevoli. Ma in tempo di Covid, andare nel bresciano, dove c’è l’epicentro della pandemia, è come mettere la testa nel cappio. Ringrazio e posticipo a data da destinarsi l’approccio fisico alla cortese azienda. Mi intrippa assai, ma… Sarà per qualche altra copia del futuro.
Questa soluzione mi appare subito come la più a portata di mano, anche se qualche esperienza fatta con la lavorazione dell’Ambone di Mirasole mi insinua qualche dubbio: forse non erano spray di qualità. Mi sguinzaglio su internet e in alcuni pochi negozi dell’hinterland milanese e recupero le vernici professionali migliori. Provo sul retro della mia copia di resina a spruzzare in diverse campiture varie vernici con pigmento d’oro. Scientificamente. Con sottofondo e senza, con prova di smaltatura e rivestimenti protettivi di diverso tipo. Una delusione. Comunque la si rigiri l’ossidazione che fa diventare opaca e marrone la verniciatura è sempre in agguato. Per evitarla in futuro (col maneggiare l’oggetto) occorre passare una stesa di spray protettivo trasparente Makota KZ100 o uno di acrilico trasparente che comunque rende opaco e marrone il tutto nell’immediato. Una gran spesa inutile. Ci sarebbero altre vernici da provare (TIXE), ma vedremo più avanti se buttare altri soldi dalla finestra. L’effetto metallo a specchio me lo sogno.
Se c’è una lavorazione che mi ha sempre intimorito è proprio questa perché richiede una manualità e una pratica da vero professionista. Faccio una bella indigestione di tutorial che spiegano come si fa (ma vi assicuro che la fanno tutti facile…). Missione all’acqua che sembra facilissima (sembra); missione all’olio e sottofondo acrilico. Poi, una mattina, passando davanti a un colorificio di belle arti in viale Gorizia, entro a curiosare e chiedo consiglio. Esco con un libretto di fogli di un simil oro 14×14 (solo 5 euro!), un pennello morbido per la posa e un flacone di missione all’olio (o alla vernice) e qualche consiglio del negoziante nella testa. Il resto del mio Kit, cuscino in similpelle scamosciata e coltello, me lo faccio io. Quelli veri costano un centinaio di euro. E’ una prova per ora, non me la sento di spendere eccessivamente.
Ok, adesso occorre rischiare la lavorazione. Leggo bene le istruzioni e mi degusto un altro bel tutorial con una pittrice inglese che invece di usare il pennellone per trasportare la foglia dal libretto alla superficie da durare, usa della carta che sembra oleata e traslucida, che si elettrizza e fa da trasporto molto efficace evitando alla foglia stropicciamenti eccessivi. Penso che farò anch’io così. Ho un bel rotolo di cellophane che potrebbe funzionare: è trasparente e si elettrizza (forse troppo…)
Come dicevo sopra, bisogna provare, provare, provare… se no non si impara. Stendo la colla, attendo le tre ore, e inizio a prelevare la prima foglia dal libretto alla superficie da dorare. Benino, si può migliorare con la successiva. Così è: quasi perfetta. La terza è accettabile. Poi iniziano i pasticci. Dove? Sul volto di Cristo, ovviamente! Partono un po’ di Cristi e Madonne… ops! pardòn! Lì si accartoccia un po’ tutto. Insomma, tra pose accettabili e pezzetti che si attaccano dove vogliono loro, lasciando buchi e lacune che devo correggere a brandelli, arrivo alla conclusione. Che sudata! Sono stremato. Ho imparato che devo ancora imparare bene la tecnica della posa, che è la parte più delicata. E la carta di trasporto devo cambiarla più spesso, se no l’oro si attacca alla carta invece che alla tavola.
Una volta seccato tutto per bene, tolgo col pennello le parti in eccesso e, anche per fissare bene la doratura, passo una bella mano di Makota su tutto e lascio asciugare. Non è esattamente come me lo aspettavo, ma per essere la prima volta non c’è male.
Bene. Ora si passa alla smaltatura con i miei colori da vetro. Mi sembra che aderiscano bene sul Makota e quindi, abbastanza rapidamente porto a casa il risultato. Diverso dall’originale, sia per la differenza di luminosità tra l’ottone lucidato e la resina dorata a foglia. Alla fine della smaltatura maschero tutta la parte della mandorla e di Cristo, che suppongo avranno meno bisogno di protezione dalle ditate e “makoto” e successivamente ripasso con vernice spray cristallizzante “VerniDeco” con più mani, prima in totale e poi “evangelista per evangelista” (ho notato infatti che la sospensione non diretta sulla parte opacizza le parti lucide quando si deposita). Alla fine questo è il risultato:
Viene ora il momento di fissare con chiodini semenzine i castoni che non hanno funzione portante e saldare le viti sul retro dei castoni dei cabochon che andranno sul lato lungo, scegliere le pietre e i brillantini da fissare incollandoli con gel Attack, previa smerigliatura e pulizia dalle vernici nei loro alloggiamenti. (Vedi articolo sull’originale de “La pace del Buon Pastore). A differenza dell’originale scelgo le agate verdi sulla croce e i lapislazzuli blu negli angoli, dove piazzo a corona solo brillanti rubino, così come lungo le cornici. I brillanti o strass trasparenti, che iniziano a scarseggiare (dovrò per forza fare altri ordini cinesi) li riservo alla mandorla. Quattro falsi cabochon vanno sui pommoli del trono. Nobilito il retro, pasticciato dalle prove di verniciatura con un bellissimo foglio di plastica oro adesiva e lo etichetto e firmo. Terminato tutto questo lavoro, ecco finalmente il risultato finale.
Se siete interessati all’acquisto inviate mail a: gianca56paga@gmail.com per quotazione e accordi. (I prezzi, assicuro che sono molto interessanti, anche per parrocchie che non hanno grandi disponibilità). Oggetto: Copia 001 Pace del Buon Pastore.
Cari lettori, qui di fila trovate la lunga descrizione cronologica dell’aspetto tecnico della realizzazione di quest’opera, condita da qualche considerazione teologica, qualche curiosità, pensiero e suggestione. In fondo al Post, invece, trovate la lettera di accompagnamento dell’opera con le motivazioni e la spiegazione di tutti i simboli e le figurazioni.
Buona lettura.
Come per l’Ambone di Mirasole, (realizzato a partire dalla mia considerazione dell’indeguatezza per una tale storica abbazia del misero manufatto di legno grezzo che fungeva da ambone), la vista reiterata dell’attuale volume del Vangelo esposto in processione, mi dava “del fastidio”. A pelle. Insopportabile. (Ai miei occhi emergeva solo la povertà – che non è per forza “evangelica” – o meglio, la “sciatteria” di una copertina di masonite marrone con un graffito di sapore etnico falso-primitivo inciso a pirografo).
Non posso farci niente se la memoria dei capolavori antichi torna prepotente alla mente e mi provoca un paragone impietoso coi manufatti moderni. D’altra parte antico è forse sinonimo di bello? Forse. Ma chi l’ha detto poi che moderno voglia dire brutto? Oltretutto non conosco (ancora) l’artista che ha realizzato l’attuale copertina venduta in dotazione base con l’Evangeliario edito da ITL Libri.
Magari l’artista in questione è un mito davvero bravo, con tutti i numeri e i titoli che io manco mi sogno, avrà vinto il concorso per realizzarla con una commissione di esperti giudicanti e io mi ergo a giudice dell’opera altrui, di cui non conosco nulla. Sono proprio una bestia ignorante e presuntuosa. Mea culpa. Scusatemi. Per curiosità vado allora a vedere se sul volume c’è scritto qualcosa al riguardo:
Con Mimmo Paladino parliamo di Arte con la A maiuscola. Con me… vabbé, lasciamo perdere… Allora mettiamola così: a me non piace particolarmente la sua masonite pirografata. Non mi induce alcun senso di meraviglia. Forse dovrei studiarla con tutte le sue motivazioni, (ed è quello che accadrà pochi giorni dopo la consegna della mia copertina–vedi qui). Sono ignorante di arte moderna e contemporanea. E forse sono troppo ancorato ai modelli antichi.
Penso a meraviglie come l’Evangeliario di Ariberto o altri manufatti di oreficeria antica. In particolare, da quando la mia amica accademica storica dell’arte medievale Chiara Maggioni mi ha fatto scoprire lo splendore della “Pace di Chiavenna”, che non conoscevo e su cui ha fatto una tesi e diversi articoli, non mi davo “Pace”. (!) Altro che pace! Ho lo stomaco in subbuglio, diamine! Ma sono solo un maldestro artigianucolo amatoriale, perdiana! “Sei proprio un cretino: cosa pensi di fare? Chi credi di essere? Sgàsati!!! Non ti vergogni?” Questo mi sono detto fin da subito. Basta! Non c’è e non ci può essere storia. Stop! Ricaccio il pensiero lontano dalla mente. Almeno, …ci tento.
E’ come per la musica: non è vero che quella corale moderna, anzi contemporanea, sia brutta. (Non tocchiamo neppure quei moderni mostri sacri di Rachmaninov, Poulenc, Pärt o altri). Ci sono pezzi incantevoli, delle vere scoperte celestiali che fanno sfigurare i Palestrina, i Da Victoria o i Monteverdi, e oltretutto sono molto più affini alla nostra mentalità attuale. Certe dissonanze “stridenti” esprimono meglio di tutto il repertorio antico il nostro approccio di uomini del XXI° secolo alla religione o all’annuncio cristiano e sanno parlare al cuore e alla mente senza particolari mediazioni di erudizione o filologia.
Invito chi, per esempio, non avesse mai ascoltato l’Agnus Dei di Samuel Barber, alcuni pezzi di Ola Gjeilo o Eric Whitacre o l’O Magnum Mysterium di Lauridsen (ma se ne potrebbero elencare moltissimi altri) ad ascoltarne alcuni brani e lo sfido a dirmi il contrario. Quindi forse occorre solo educare l’orecchio o l’occhio, nel nostro caso?
Va bene, questa era una digressione che mi scuserete, vero? Torniamo alla nostra questione. Al cuor non si comanda, purtroppo: di fatto non è possibile evitare che, ogni volta che mi capita sott’occhio la masonite in oggetto, la mia mente inizi subito a vagare alla ricerca di una possibile alternativa. Quando vado a messa in parrocchia (Gesù Buon Pastore e san Matteo apostolo – Milano) non faccio che distrarmi! Uffa! Ne va della mia salute mentale residua, sicuramente. E forse anche della mia salvezza. E’ venuto quindi il momento di agire. Un bel “NO!” chiaro e tondo può mettere fine ai sogni, tagliare la testa al toro e riportarmi alla realtà.
Ho appena esposto in parrocchia il mio presepe della Pseudo-Icona della Natività, posso quindi arrischiare (come sono subdolo!) col nuovo parroco don Matteo la proposta indecente della realizzazione della nuova sovra-copertina dell’Evangeliario (alle stesse condizioni dell’opera di Mirasole, cioè il recupero spese, se l’opera riesce), per cui una mattina gliela butto lì. “OK, vai avanti”, mi dice. Senza batter ciglio. Al buio. Cavoli.
Mi perdoni anche Mimmo Paladino, se a questo punto proseguo col mio tentativo di alternativa (senza pretese, da scalchignato autodidatta amatoriale). Siccome prima di fare la proposta “sconcia” avevo già cercato di immaginare qualcosa in proposito, avevo ovviamente sfogliato l’archivio di immagini preparatorie di mio padre Ettore Paganini. Avevo trovato un bel tetramorfo degli Evangelisti e un bel Cristo maestro in trono in mandorla che facevano al caso mio. Ho fatto allora con Illustrator un primo progetto in misura che qui vi mostro.
Una curiosità veramente particolare: eravamo poco prima di Natale e, in parrocchia, in vista delle celebrazioni della notte santa, prevedendo un grande afflusso di persone, per aderire alle raccomandazioni anti-covid si era pensato di poter usufruire di un ambiente di espansione nel caso di uno sforamento delle presenze, in un locale attiguo alla chiesa. Per far ciò occorreva implementare in quell’ambiente l’impianto voci tirando dei fili di collegamento. Per far ciò sono stato coinvolto in un sopralluogo in vari ambienti, tra cui lo spazio dietro il presbiterio, sopra la sacrestia, la cappellina e l’ufficio del parroco. Viene attualmente usato come deposito di cianfrusaglie e paccottiglie varie.
Ebbene, frugando in un grande armadio salta fuori un vecchio tabernacolo, forse della primitiva chiesetta prefabbricata, di cui nessuno sapeva l’esistenza (e che ora verrà restaurato spero, anche se complessivamente in buono stato) con la porticina realizzata da mio papà a sbalzo e smalto su rame. Indovinate cosa rappresentava? Ecco:
Non è la stessa identica immagine, ma molto somigliante. Qui Gesù ha nelle mani il volume con scritto “Lux Mundi”, là ha il rotolo di cui “è degno di aprire i sigilli”. Insomma, questo ritrovamento mi è parso personalmente il segno di un suggerimento a non indietreggiare di fronte a questa nuova sfida, e la conferma che la strada era quella giusta. Non è che dovete credere tutti per forza a questo fatto: a me però ha suggerito così.
Inoltre ho pensato che se un’opera a smalto e sbalzi a gran fuoco di mio papà è finita in soffitta, impolverata di dimenticanza, alla mia copertina potrà accadere la stessa sorte, prematuramente, senza rimpianti e senza alcun dolore. Questo mi tranquillizza.
Verso Natale torna a Milano da Firenze mio fratello Francesco, al quale chiedo sempre consigli, essendo lui il vero “Artista sacro” di famiglia, il vero erede della professione di papà, e ne approfitto per uno scambio di opinioni sul progetto. La sua prima reazione è: “Bello, ma come mai quel rombo così rigido dietro la mandorla?” Già! Boh, non so, effettivamente mi è venuto così senza pensarci troppo… Eh, male! Questo mi induce a ripensare a fondo il progetto, cercando di arrivare più in profondità anche nella simbologia che è un po’ povera effettivamente.
Certo, una soluzione così geometrica mi avrebbe semplificato la vita (lo dico a posteriori e a ragion veduta), ma noi se non ci complichiamo la vita non siamo contenti. Oltretutto trovo un sacco di altre magagne compositive che non mi convincono più di tanto, come per esempio i riquadri che contengono gli evangelisti tagliati nell’angolo che va contro la mandorla. Che senso ha? Ne approfitto per rivedere da cima a fondo tutto il progetto. Però, anche solo considerare il significato della Mandorla o “Vesica piscis” è davvero straordinario. Tra gli altri, i due cerchi che si intersecano nell’asse centrale, formando la figura della mandorla: Divinità e Umanità rese UNO in Cristo.
Quante cose ci perdiamo noi moderni a furia di semplificare ad appiattire la realtà a ciò che appare, consumando tutto, senza scavare nei significati: ci perdiamo il meglio!
All’interno della copertina che dovrà essere “Luce pura”, un bagliore unico, dai mille riflessi e multicolore, com’è la Parola di Dio, decido di aggiungere due simboli eucaristici fondamentali. Il perché deriva dalla considerazione che questo è sì un Evangeliario, ci viene incontro cioè la Parola di Dio in tutto il suo splendore del vero (da qui l’idea di una copertina splendente di luce d’oro (simbolo di divinità), piena di riflessi, di smalti lucidi, di strass e cabochon preziosi di agata, lapislazzuli, ametiste e giada). Gesù è la parola pronunciata eternamente da Dio Padre, il Logos. Tutto fu fatto per mezzo di Lui e in vista di Lui e tutto in Lui sussiste. “Ego sum Via, Veritas et Vita” è riportato vicino agli evangelisti. Il Verbo si è fatto carne ed abita in mezzo a noi.
Questo è l’annuncio cristiano, pieno di stupore. Questa Parola non si è fatta ideologia o filosofia o regole, ma carne. Un uomo. Carne offerta in cibo per noi, per tutto il mondo: carne e sangue, pane e vino per rimanere ogni giorno in mezzo a noi sacramentalmente nel mistero eucaristico, nella Sua Chiesa. Per la nostra salvezza. Gesù Uomo e Dio, incontrabile ogni giorno nell’umanità, resa comunione, della sua Chiesa. Eucarestia, rendere grazie. E’ proprio ciò che desidero fare con quest’opera.
Per rappresentare il vino penso, più che ad un calice, che mi rimanda alle immaginette di fine ottocento, alla pianta della vite con grandi grappoli e penso di metterla alla base della mandorla. Il tronco sale lungo la composizione a fianco della mandorla (a sua volta simbolo di vita e fertilità), con i suoi tralci, le sue volute e i viticci coi 4 grappoli turgidi. “Albero della vita” dal sapore antico (vedi per esempio quello di Otranto), un’immagine ricorrente nell’iconografia medievale a simboleggiare oltre all’Eden, la Croce di Cristo che non è più il legno della morte, ma la sorgente della Vita. Trovo una bella foglia di vite da riprodurre in varie misure e la piazzo lungo i tralci (ci pensate a cesellarle sull’ottone, che fatica?).
Poi trovo una soluzione per inquadrare i simboli di Cristo nelle parte bassa (Il pesce –Ichthys–simbolo di Cristo e l’ancora della fede, a sinistra e il cristogramma Chi-Rho a destra, nelle volute dei tralci. Il Chi-Rho è per antonomasia il monogramma di Cristo (nome abbreviato talora in chrismon o crismon). Esso è un monogramma costituito essenzialmente dalla sovrapposizione delle prime due lettere del nome greco di Cristo, X (equivalente a “ch” nell’alfabeto latino) e P (che indica il suono “r”).
Per rappresentare il pane eucaristico, più che sull’ostia, mi oriento sulle spighe, con cui decoro i campi in alto ai lati della mandorla. Le ariste delle spighe sono una parte assai difficile da cesellare, almeno, io ho faticato molto: la punta andava dove voleva lei…
Sopra le spighe i due simboli Alfa e Omega in lettere greche: Gesù principio e fine della creazione, centro del cosmo e della storia. “IO SONO L’ALFA E L’OMEGA, DICE IL SIGNORE DIO, COLUI CHE E’, CHE ERA E CHE VIENE, IL PRINCIPIO E LA FINE, L’ONNIPOTENTE !”.
(APOCALISSE 1:8)
Ed ecco il secondo progetto, colorato, quello definitivo. Mostrato a don Matteo: “Molto, molto bello, davvero! Grazie di cuore”.
Francesco mi suggerisce altre cose utilissime, non ultimo il link dove acquistare le pietre preziose o le pietre dure da utilizzare nell’opera. Mi fa cercare su un sito cinese “Pandahall” i cabochon e i castoni da acquistare. Un mare di scelta a prezzi incredibili, che arrivano a destinazione in un paio di settimane (Sotto Natale non si poteva pretendere di più).
Siamo ai primi di gennaio. Subito mi metto all’opera, memore anche della corsa finale che ho dovuto fare con la Pseudo-Icona della Natività. Mi ricordavo di aver avanzato una bella lastra sottile di ottone (1/10°) acquistata da Miorini metalli, dalla quale avevo ritagliato solo un pezzo per realizzare una icona della Vergine, che per imperizia avevo rovinato durante lo sbalzo del viso (e che avevo perciò dovuto accantonare. Peccato perché nel complesso non era male). L’esperienza mi è servita però per prendere familiarità con questo materiale, del tutto diverso dalle lastre di alluminio, molto più “nervose”. L’ottone è molto più plastico e morbido: è facile esagerare con la forza per poi non riuscire più a controllare gli spessori e a correggere gli errori. Controllo le misure: perfetto, sembra fatto apposta.
Tenete a mente questa faccenda delle misure, perché proprio questo particolare per un pelo non provoca un disastro colossale. Stiamo parlando di un riquadro poco più grande di un A3. Meno male che il secondo progetto, per prudenza, prevedeva un bordo di 4/5mm tra la cornice sbalzata e il bordo del supporto della misura della copertina esistente. ma vedremo più avanti perché…
Le misure, comunque mi han fatto disperare perché la copertina esistente ha il filo del bordo stondato e io ho preso una misura intermedia. Su questa ho tagliato il pannello di compensato che ha sulla facciata esterna le rientranze tonde (che poi sono diventati buchi toppati da un lato con carta incollata) in corrispondenza delle 7 borchie di ottone che “impreziosiscono” la masonite.
Questo compensato dovrà chiudere a sandwich sul retro la lastra incollata sul suo supporto. Alla prima verifica di appoggio sul lezionario mi risultava troppo grande e andrà andrà quindi piallata in altezza (ma aspetto alla fine a farlo e con il Lezionario in mano, a casa) e un buco ho dovuto allargarlo perché non andava a registro con la sua borchia. Uffa! Il problema è che per ora non posso portarmi a casa il volume del lezionario, (siamo durante le feste e viene usato in lungo e in largo) e quindi devo andare in sacrestia, chiedere al sacrestano di aprirmi l’ufficio, prendere le misure, scattare le foto…. ma non è la stessa cosa che averlo sul mio tavolo di lavoro.
Stampo il progetto in misura, lo fisso alla lastra tagliata, tenendo conto delle abbondanze che verranno ripiegate sotto il supporto, sopra due fogli di carta carbone che coprano tutta la superficie e, fortunatamente, mi viene l’idea di incidere e sbalzare la lastra fissandola su un pannello di masonite poco più grande della lastra stesa e sul quale ho fissato un pannolenci che sia abbastanza cedevole per assecondare l’incisione, ma non abbastanza per sfondarsi. L’accorgimento consente altri due vantaggi non secondari: impedire di piegare gli angoli della lastra prendendoli dentro con le maniche e consentire di muovere lo sbalzo nella posizione che interessa, con facilità. Approfitto delle vacanze di Natale per iniziare il ricalco delle figure. Siamo al 5 gennaio 2021 quando termino la prima incisione frontale della lastra. Senza il Cristo al centro. Perché, direte voi?
Come mai, il Cristo al centro non compare? Perché nella mia idea primigenia la mandorla col Cristo in trono avrei dovuto realizzarla a parte su una lastra di alluminio e avrei dovuto inserirla sotto a quella di ottone, che l’avrebbe mascherata. Poi, però, vedendo come si dilata la lastra durante lo sbalzo ritorno sui miei passi e decido che realizzerò tutto sulla stessa lastra per evitare di dover fare una fatica del diavolo a tenere sullo stesso piano le due lastre in tutti i punti. In realtà, una certa fatica la faccio comunque a spianare tutto, ma mi immagino cosa sarebbe successo nella prima ipotesi. Lezione già appresa in passato: il progetto teorico va verificato continuamente strada facendo, ed eventualmente bisogna cambiare strada: è la realtà che comanda, non il nostro pensiero.
Ovvio! O me lo compro, (come ho fatto coi palligrafi che mi mancavano, o come farò con il saldatore a gas per i castoni angolari con le viti di fissaggio al lezionario), o me lo creo. Per esempio, avrei avuto bisogno, oltre alla mia fedele biro scarica, ottima per incidere la lastra e al bastoncino medio di bambù con punta tonda (7), per sbalzare i particolari, di altri legni con punte larghe a spatola in varie misure o sagomate per determinati usi.
E allora, man mano me li creo. Grazie a mia figlia Lucia che mi regala una manciata di posate e bastoncini da Sushi in prezioso bambù (duro ed elastico al contempo) mi creo un set su misura, pronto ad integrarlo alla bisogna. Eccolo:
Nel giro di pochi giorni termino lo sbalzo. Siamo al pomeriggio del 14 gennaio. Ho davanti a me ancora un mucchio di lavoro. Ma inizio a contemplare ciò che sta immeritatamente uscendo dalle mie mani. Passo sulla superficie la paglietta e lucido lo sbalzo: Urca, che roba!!! (Potrei quasi lasciarlo così senza colori…. un dubbio mi assale).
Sembra una creazione d’oreficeria medievale, nonostante la figurazione moderna. Sarà l’ottone che sembra oro? Vabbé, sgàsati, testa bassa e pedala.
Inizio poi a spianare il tutto e a rinforzare il retro per evitare sfondamenti. Temo un po’ questo momento perché so già che sarà fatidico e irto di difficoltà. La realtà non mi smentisce. La lastra è davvero molto deformata e va dove vuole lei. Un lavoro di pazienza perché a forzare troppo si rischia di creare delle pieghe di rimando in punti dove non dovrebbero esserci, che rischiano di rovinare il lavoro. Quindi poco per volta, sul fronte e sul retro, spiando cosa accade per reazione ad ogni azione, spiando il comportamento della lastra, arrivo ad un compromesso accettabile.
Prima di tutto maschero l’area di azione per il riempimento di colla da montaggio o mastice con nastro adesivo di carta, per evitare di rovinare la lastra nel tentativo di togliere gli eccessi di materiale che dovesse uscire dalle campiture: è roba veramente molto aderente, poi è difficile scrostarla dal metallo. Metto quindi dei punti fermi di riempimento delle cavità posteriori più grandi e decisive, quelle che dovranno per forza restare così come sono senza deformarsi.
Riempio volto e il busto di Cristo, che sono le parti più sporgenti a rilievo, con ottimo mastice da marmisti bicomponente, che solidificando diventa, appunto, come il marmo. Ha il pregio che la reazione avviene molto velocemente così hai subito il risultato e puoi proseguire col resto del lavoro, strato su strato. Passo via via a riempire i bracci della croce, molto in rilievo, e le cavità sul retro dei riquadri degli evangelisti. Aiutandomi con listelli di gommapiuma e legno metto tutto sotto dei pesi che tengano la lastra spianata mentre il materiale (colla di montaggio e cartoncini per le altre parti oltre il Cristo) si asciuga.
Orpo, se è cresciuta! Troppo!!! Vi ricordate cosa dicevo delle misure all’inizio? La lastra si è espansa con lo sbalzo e non collima più con le misure prese. Le ero andate a riprendere in sacrestia ed effettivamente quelle erano più piccole. Tra l’altro più piccole anche del pannello di legno “nobile” già tagliato. Da rifilare comunque. Panico. E ora che faccio? Purtroppo avevo già segnato incidendolo il bordo inferiore, sul segno che doveva essere la piega frontale sul supporto. Cavoli che danno! Rischio di buttare via tutto il lavoro. Sudori freddi. Calma, stiamo calmi e troviamo una soluzione. Per fortuna, avevo pensato ad un margine tra pieghe bordo e inizio cornice a bassorilievo di 5 mm. Provvidenziali. Tolgo circa 2,5mm per parte e mi ritrovo quasi a posto, un po’ di gioco è inevitabile, ma ci si può arrangiare.
La parte che mi preoccupa maggiormente è la sistemazione del bordo inferiore già segnato molto profondamente. Devo ri-spianare il solco, sperando che l’ottone non si indebolisca troppo e poi fare a pochissima distanza il nuovo segno e il secondo della piega sotto il supporto. Spero che regga e non si rompa. Regge. Miracolo.
Fatte le pieghe, taglio in misura un bel supporto di masonite leggera (Un po’ di masonite in quest’opera non poteva mancare, no?) e lo infilo sul retro del pannello. Tutto ok, pronti per l’incollaggio in piano.
Per fissare la lastra al suo supporto uso colla Poly Max della Bostik che mi garantisce presa duratura e una certa elasticità. Per stenderla, manco a dirlo, mi servirebbe una spatola rigata che non ho, e che mi creo quindi con una vecchia tessera telefonica occhiellata con l’occhiellatrice da calzolaio.
Benissimo, ora è venuto il momento di stendere gli smalti sintetici (colori epossidici per vetro) GLAS della MARABU. C’è timore e tremore, è sempre una fase che richiede una grande attenzione. Ho recentemente acquisitato alcune poche tinte in più, rispetto a quelle che avevo usato per Mirasole. Purtroppo la gamma Glas è limitatissima, ma l’apporto dei nuovi colori fa davvero la differenza. Ho un nuovo arancione, un giallo, un bianco/trasparente, un nero, un color cacao, un pink, miscelabili con le altre boccette da 25 ml. Da 50 cl, non miscelabile con nessun altro pigmento, ho in più un trasparente molto denso che userò moltissimo per proteggere l’ottone dove sarà a vista senza altri smalti.
La questione delle miscele è delicatissima: a mie spese ho imparato che solo poche tinte sono miscelabili tra di loro e che comunque è meglio sovrapporre le stesure di cui si è già sicuri per averle sperimentate in passato. Ogni errore rischia di compromettere tutto il risultato.
Pulisco e sgrasso bene la superficie. Lavoro coi guanti di lattice. Parto con i blu di fondo degli evangelisti, prima una sola mano e poi il “ribattino” della seconda mano che nasconde tutte le imperfezioni e dà corpo e intensità alla stesura. Alterno blu oltremare e color petrolio (il mio turchese preferito) sotto il tetramorfo e blu notte sotto i simboli.
Procedo a spron battuto slalomando, col pennellino Windsor&Newton sottilissimo, tra incertezze sulle scelte cromatiche (nonostante il bozzetto sia chiaro), errori madornali (es. un pezzo del mantello di Cristo colorato come la tunica, che ho dovuto lavar via con precisione con straccetto e diluente pulitore – che panico!) e ripassi di mani ulteriori per nascondere magagne varie.
Alla fine, il 31 gennaio la smaltatura si può dire conclusa, salvo piccoli interventi e un’ulteriore protezione dell’ottone a vista col trasparente.
Da Pandahall avevo acquistato pietre dure e strass di cristallo in varie misure. Ho dovuto fare due ordini di castoni porta cabochon (pietre dure semisferiche) perché per errore avevo ordinato dei castoni color zinco da 12″ di diametro invece di castoni ottone da 10″. Ne ho approfittato per aggiungere anche dei cabochon di laspislazzulo blu e di agata verde.
Posso far conto su una certa varietà di pietre dure; Agata, Giada, Ametista, Lapislazzolo e strass trasparenti e rossi, così come si vede dalla foto:
Prima di incollare e fissare le pietre devo irruvidire gli alloggiamenti in modo che la colla aggrappi meglio e lo faccio sfrisandoli con un lama di cutter. Incollo per primi tutti gli strass trasparenti e poi quelli rosso rubino nei fiori ai vertici. Poi devo prepapare i castoni che non avranno anche funzione di fissaggio con i bulloni al lezionario.
Li foro centralmente e vi inserisco un chiodo microscopico (semenzine, marca storica Due Leoni-introvabili, ahimé). Semenzine che ho trovato da un gentilissimo e fornitissimo calzolaio d’altri tempi in via Solari ang. Montevideo. Lo ringrazio, non se ne trovano più. Né chiodini, né calzolai così. Dal ferramenta storico (Viganò Pietro) lì vicino, invece, trovo i microscopici bulloncini di ottone e altri micro vitine e componenti. Anche lui ha dato fondo alle riserve antiche degli antenati. Certi prodotti artigianali di minuteria di precisione italiana non esistono più, altro che Cina e Cina! Altro che Brico e Castorama! E questi negozi stanno tutti chiudendo, non solo per il Covid. Come faremo in futuro “noi artigiani”?
Poi arriva una fase che mi lasciava un po’ nell’incertezza per la mia incapacità e gli strumenti a disposizione poco professionali: la saldatura dei bulloni di ottone sotto i castoni portanti. Per sopperire a questa mancanza acquisto un microsaldatore a gas da 7,90 euro al Brico. Errore! Dovevo spenderne 35,90 e avrei avuto uno strumento buono. Invece al primo tentativo (a parte che la carica del gas butano è fallimentare, esce tutto… e quando inclini il saldatore la fiamma si spegne…) brucio un castone che quasi prende fuoco e il bullone non si attacca alla cenere… Ripiego sul mio vecchio saldatore elettrico che ci mette un sacco a scaldare la punta e dopo un paio di tentativi di saldatura impazzita riesco felicemente nell’operazione. Otto castoni saldamente saldati al loro bullone. Grande!
Foro anche gli alloggiamenti dei castoni portanti e faccio la prova di inserimento. Perfetto. Ora manca solo di portare a casa il Lezionario, fare le ultime verifiche delle misure (mi preoccupa soprattutto il compensato che dovrà andare a registro con le borchie e il pannello realizzato.
Venerd’ 5 febbraio è il grande giorno. Il sacrestano sig Ever mi consegna il volume che imballo e porto a casa. Sono emozionato come uno scolaretto e ho il cuore che batte forte. Posiziono tutti gli strati sulla masonite di Mimmo e li fisso col nastro di carta e biadesivo. Dovrò solo rifilare di un millimetro l’altezza del compensato, ma lo farò a bocce ferme. Col trapano e la punta da 1,5 trapasso negli 8 punti l’opera etnica pirografata (senza rovinarla eccessivamente, peraltro) e lavoro sul retro. I bulloni fuoriescono con abbondanza solo di un paio di millimetri (che dovrò poi segare).
Prima però devo creare gli alloggiamenti dei dadini che dovranno scomparire nel cartone. Con una grossa punta da legno contro-buco di un millimetro e mezzo di profondità il cartone e lo “fisso” con colla acrilica perché non si slabbri in futuro. In 5 fori inserisco 5 micro ranelle che impediscano che il cartone ceda quando stringerò i bulloni. Poi, aiutandomi con una lastra di zinco forato per proteggere il cartone, sego i millimetri sporgenti dei bulloni e pareggio a livello tutti gli spuntoni.
Estraggo di nuovo i castoni e libero le parti numerando gli oggetti, in modo che ognuno torni poi nella sua posizione originale. Incollo i castoni agli alloggiamenti infilandoli di nuovo nei fori e ri-stringo i bulloni finché la colla non indurisce. Comunque, cari lettori, siamo alle battute finali: ecco il Lezionario con la nuova copertina terminata.
Una curiosità: la nuova sovra-copertina completa pesa poco più di un chilogrammo. Fosse stata d’oro massiccio sarebbe stato peggio portarla in processione a braccia alzate… Il lezionario pesa comunque un 5/6 chili di suo.
Primi commenti via whatsapp: Bruno: “Ciao Gianca, ma dove lo si potrà vedere questo capolavoro?”; Don Matteo: “Bravissimo! Complimenti!” E io: “La chiamerò Pace del Buon Pastore per richiamare la Pace di Chiavenna. Poi vengo a confessare il mio peccato di orgoglio…” Lui di rimando: “Ego te absolvo…”. Don Stefano C.: “Veramente splendido Giancarlo!!! Un capolavoro!!! (Applausi) … sono santamente “invidioso”. Eccetera…
Cari amici lettori che avete avuto la curiosità e la pazienza di arrivare fin qui, vi ringrazio. Con don Matteo siamo rimasti d’accordo che la “Pace del Buon Pastore” verrà utilizzata la prima volta nella Messa di Pasqua 2021 e verrà poi utilizzata in tutte le cerimonie delle festività. Molto probabilmente, pur essendo un sistema che può essere semplicemente rimosso svitando gli 8 bulloncini, resterà fisso sul lezionario. Ad ogni buon conto lo consegnerò in una scatola imbottita confezionata ad hoc, che fungerà da custodia ogni volta che verrà richiesto. Grazie a tutti (soprattutto a mia moglie Daniela, per la sua pazienza e il suo affetto e sostegno), e…. alla prossima!
La “notte” della veglia pasquale il 3-4-21, durante la s. Messa è stata inaugurata la nuova Copertina di Evangeliario Festivo. E’ rimasta esposta anche dopo la celebrazione. Il giorno di Pasqua a tutte le messe festive è avvenuta la stessa processione ed esposizione.
Caro don Matteo, caro mons, Marino, caro don Abramo, cara comunità parrocchiale,
è con gioia riconoscente che posso anche io, oggi, offrire il mio contributo artigianale (e, se possiamo dire, artistico), alla mia amata parrocchia di Gesù Buon Pastore e san Matteo Apostolo, parrocchia che fu di mio padre Ettore (ed è ancora di mia madre Caterina) che qui ebbe modo di realizzare una delle più alte espressioni della sua Arte a servizio della Chiesa. È quindi con senso di profonda inadeguatezza nei confronti della grande Arte, potendo vantare in merito solo degli ascendenti di valore assoluto ma non degli studi adeguati, che offro alla comunità di cui sono parte questa opera artigianale ad uso di sovracopertina dell’Evangeliario diocesano, realizzata a sbalzo, smalti sintetici su lastra di ottone e pietre dure.
Non mancandomi un certo senso dell’umorismo avevo pensato di chiamare questo manufatto originale “Pace del Buon Pastore” esplicitando così il motivo ispiratore e il modello dell’opera nel riferimento alla meravigliosa copertina di Evangeliario detta “Pace di Chiavenna”, opera di inestimabile valore e dal fascino immortale, frutto maturo dell’inarrivabile perizia e del gusto artistico delle maestranze orafe medievali della nostra terra lombarda.
Il riferimento e la continuità con l’opera di mio padre è invece molto più diretto. La figura del Cristo maestro in trono, al centro della mandorla gloriosa e il disegno del tetramorfo degli evangelisti sono tratti dall’archivio dei suoi bozzetti preparatori. (Archivio che ho avuto la ventura di poter raccogliere negli ultimi anni e rendere accessibile).
Un duplice motivo mi spinge sempre ad intraprendere questo genere di opere (questa è la mia terza prova di questo tipo): da una parte c’è la voglia di misurarsi con sempre nuove sfide tecnico-artistiche (a volte fin troppo alte per le mie capacità), per poter offrire alternative (spero valide) a situazioni, rappresentazioni, opere che non mi appagano e non soddisfano la mia sensibilità religiosa e artistica. Dall’altra c’è sempre un desiderio di utilità catechetica nei confronti del popolo di Dio. Non pensavo di avere una vocazione di questo genere, ma seguendo certe indicazioni e certi segni devo riconoscere che è così.
Secondo me ogni opera d’arte sacra oltre ad avere valore in sé deve avere una funzione contemplativa ed educativa. (Una sorta di Biblia pauperum, in senso largo, insomma). Educazione a cosa, oggi, in particolare? Io vedo una esigenza urgentissima di educazione del popolo cristiano al senso della Chiesa, al senso dell’essere popolo di Dio, al senso dell’appartenenza alla Chiesa come Mistero, Corpo mistico di Cristo, la carne concreta e oggettiva di Gesù oggi, secondo il metodo di Dio che è l’incarnazione. Che è la strada con la quale Cristo presente prende sempre più possesso di noi. “Caro cardo salutis”.
La gente non sa più che cosa sia il mistero della Chiesa, perché non fa più esperienza del mistero, ma se va bene, fa un’esperienza “sociologica” della comunità. Da qui tutte le derive riduttive che riducono, appunto, la Chiesa a distributrice di servizi religiosi, che devono risultare ineccepibili, con tutte le pretese, le rimostranze e i moralismi del caso. Lo dico in generale, come sensazione netta che mi deriva dai rapporti coi genitori, ecc.
La nostra comunità però, e lo dico con commozione e gratitudine ricordando certe figure luminose di parrocchiani di cui potrei stendere un lunghissimo elenco, è stata ed è tuttora piena di santi di tutti i giorni, santi della porta accanto, che questo senso del mistero della Chiesa lo hanno riconosciuto e incarnato e lo incarnano veramente. Magari non pienamente coscienti e quindi con difficoltà di comunicazione a livello culturale. Questo è secondario rispetto all’essere santi, no? Ma se la Fede non diventa cultura non riesce a trasmettersi come dovrebbe, diceva san Giovanni Paolo II. Cultura intesa nel senso di saper rendere ragione della fede, non di essere eruditi. Cultura, Carità e Missione sono i tre capisaldi, le tre dimensioni fondamentali dell’esperienza cristiana.
Questa sensibilità e questa esigenza di educazione mi vengono dalla mia storia familiare e dalla mia appartenenza al carisma di don Giussani, che sempre ha vissuto con noi questo desiderio comunicativo e ha perciò valorizzato ogni particolare dell’esperienza umana (dal canto all’espressione artistica, dalla cultura alla bellezza, alla tradizione) per educarci a riconoscere la presenza operante di Cristo nella vita.
Quindi, venendo alla presente modesta realizzazione, ne metto in evidenza i tratti simbolici fondamentali:
Innanzitutto, in generale, desideravo un impatto forte con la luce. Deve emergere “violentemente” lo splendore del vero, del bello, del giusto, che suscita in noi stupore e attrazione. Luce variegata e multiforme, che illumina i nostri cuori e le nostre menti, come solo lo Spirito sa generare.
1) Al centro vi è Cristo maestro in trono con in mano il rotolo di cui è degno di “aprire i sigilli”. I colori dominanti sono l’oro, il blu del mantello (si è rivestito di umana carne, di natura umana) e del fondo raggiato e il rosso porpora della tunica (colore regale e divino della sua natura). I tre cabochon di ametista lilla nella mandorla dorata rappresentano la Trinità. La mandorla che lo racchiude ha molteplici significati: porta tra cielo e terra, tra dentro e fuori, simbolo di fecondità, generazione e vita nuova. È anche simbolo di gloria e di luce soprannaturale. La “Vesica piscis” simboleggia anche la Divinità e l’Umanità rese UNO in Cristo. Il pesce, Ichthys, peraltro ripreso in uno dei tondi sottostanti è uno dei principali simboli di Cristo, insieme all’altro simbolo del cristogramma Chi-Rho. Il trono non è simbolo di potenza mondana, ma è il trono dell’agnello immolato per la nostra salvezza, per cui Cristo è rappresentato con le stimmate, segno della sua passione. Cristo è l’Alfa e l’Omega, l’inizio e la fine della Creazione, centro del cosmo e della storia (simboli che compaiono anche nei tondi superiori).
2) Il tetramorfo degli evangelisti, secondo la sintesi iconografica elaborata da papà, sta ai lati della mandorla, in quattro riquadri con lo spigolo tangente alla curva della mandorla. Il fondo blu, con diverse tonalità, così come è la diversa sensibilità dei 4 sinottici, a rappresentare la profondità della narrazione dei Vangeli che sono dorati/arancio, cioè divini. Non è parola umana, è Parola di Dio, come a descrizione di quel Cristo Parola di Dio che si è fatta carne, al centro del nostro sguardo contemplante. Trattandosi di un Evangeliario, come da tradizione, i 4 evangelisti compaiono necessariamente.
3) Però ho desiderato introdurre anche altri simboli, eucaristici questa volta. Non sembri strana questa introduzione all’interno di un evangeliario: infatti, se la parola di Dio si è fatta carne, questa carne e questo sangue ci accompagnano e ci guidano nel nostro pellegrinare terreno, viatico alla patria eterna, o autostrada per il cielo come diceva il nostro beato Carlo Acutis. Pane e vino compaiono nei campi laterali accanto alla frase di Cristo “Ego sum Via, Veritas et Vita”. In alto stanno le spighe dorate e alla base della mandorla la vite (albero della vita dai diversi significati) con i grappoli maturi si arrampica coi suoi tralci in diverse volute verso il centro della copertina. Grano e Uva si traformano in Pane e Vino rappresentando così anche il nostro apporto, fatto di lavoro e fatica, all’opera della salvezza. L’oro si mescola a qualche tenue colore proprio per sottolineare questo contributo umano all’azione divina.
4) Al centro geometrico della copertina sta la Croce. Sotto la gloria della mandorla sta l’ignominia del patibolo. In rilievo, anche se non preponderante e impreziosita di gemme di preziosa e luminosa Agata verde e rosso/arancio emerge lo strumento della nostra salvezza che taglia in parti uguali il tempo e lo spazio, intersecando la storia in un punto preciso. La vite alla radice si appoggia alla croce.
Tutta la descrizione del percorso tecnico l’ho pubblicato in un lungopost sul mio sito, per chi volesse approfondire anche gli aspetti di quel tipo.
L’appuntamento per l’inaugurazione sarà a Pasqua 2021, quando la luce della Sua Resurrezione ri-illuminerà le nostre vite. Ciao e grazie per il supporto e la fiducia concessami.
Giancarlo Paganini
07-02-2021
Presento in questo articolo il Presepe 3D (tridimensionale), opera a sbalzo e smalti su alluminio che ho terminato oggi, 24-11-20. Ho già illustrato in un precedente articolo (UNA ICONA DI PROVA. SAN GIUSEPPE NEL PRESEPE – datato 3 febbraio, a cui vi rimando) la genesi di quest’opera che, avvicinandosi il Natale, ha avuto una notevole accelerazione negli ultimi due/tre mesi. Non mi ripeto circa genesi e progetto iniziale. Da quell’articolo si capisce anche perché alla parola “Icona” antepongo il prefisso “Pseudo”.
Qui invece cercherò di documentare lo sviluppo temporale e la conclusione del progetto. (Per problemi legati alla seconda ondata di Covid quasi certamente il progetto pensato da don Luigi Conti non potrà andare in porto secondo tutti i suoi desiderata; forse il presepe verrà solo esposto isolato singolarmente nella Parrocchia milanese di Gesù Buon Pastore, senza il contorno delle scene realizzate dai bambini del catechismo.
Ho concepito il presepe in funzione catechetica e mi piacerebbe che venisse usato sempre per far incontrare ai bambini, attraverso la loro naturale curiosità e le loro domande, un riflesso del fascino del mistero del Natale.
Comunque, alla fine, il presepio lo regalerò al caro don Luigi, che ha terminato il suo compito di parroco nella nostra parrocchia, per andare a svolgere il suo ministero sacerdotale al quartiere Feltre).
Durante il Lockdown precedente, pensavo di avere molto tempo a mia disposizione per pensare e iniziare a realizzare il progetto. In realtà il tempo è volato (ho battuto un po’ la fiacca…) e ho anche dovuto far marcia indietro e cambiare idea su un po’ di cose. Ero partito ai primi di febbraio, immaginando una Teotokos in un modo che poi non mi avrebbe convinto. Eccolo:
Il disegno del San Giuseppe meditabondo, del quale avevo già fatto una prova di sbalzo parziale, invece mi soddisfa, per cui diventa la pietra angolare su cui proseguire con il resto
Altro aspetto da sottolineare circa lo stile del disegno. Se fino ad ora mi ero molto appoggiato all’archivio di bozzetti di mio padre Ettore, in questo caso dovevo per forza cambiare stile, cercando di adeguarmi il più possibile ai “tipi” tradizionali approvati dalla tradizione ecclesiastica orientale. Né un’Icona della Natività, né alcuna altra Icona, si può inventare “a muzzo”. (Allegherò di seguito una sintesi delle regole del buon iconografo).
Quindi, per sopperire a questa difficoltà, ho cercato di avvicinarmi ad Icone già realizzate da altri autori, cercando utilizzarne i proto-tipi e poi di armonizzare il tutto. So che certamente, per i veri scrittori di Icone, ho fatto una schifezza sotto diversi punti di vista (Quasi tutti). Lo so anch’o, ma mi piace lo stesso.
Prima cosa: realizzare il contenitore che conterrà il presepe. Senza questo passaggio è difficile rendersi conto del lavoro da fare, delle misure vere. Siamo a fine Agosto, inizio già a sentire il fiato sul collo del Natale che incombe… mi conosco e so che di tempo perso ce ne sarà parecchio, meglio portarsi avanti. Fatta la lista della spesa per recarmi al Brico a farmi tagliare i pezzi di legno necessari. Poi inizio a verniciare e a montare lo scatolotto.
Mancava, oltre alle prove fatte, un progetto della composizione generale, eseguito nelle misure esatte della commissione. Un fatto non da poco. Me ne sono reso conto a mie spese dovendo poi far fronte alle misure piccolissime delle immagini da realizzare a sbalzo e poi da ritagliare sulle lastre di alluminio col cutter: un’impresa veramente faticosa! Da calli alle dita!
Misure alla mano, inizio a impostare a computer, con Illustrator, la scena complessiva, facendo un po’ un puzzle dei vari elementi schizzati. Ecco il risultato finale. Ovviamente qui è in 2D. Lo dovrò adattare al 3D, quindi, per esempio la montagna di fondo dovrà essere allungata parecchio dovendo svilupparsi poi sia nel piano verticale che in profondità, cioè in diagonale nello spazio. (La stamperò deformata in verticale, calcolando più o meno la sua vera estensione).
Ci metto un bel po’ a creare la composizione con la nuova Madonna (l’immagine più bella, che ho utilizzato l’ho tratta non da una icona orientale su legno, ma da un affresco di ignoto italiano della Basilica di san Francesco in Assisi, per dire che l’unità della Chiesa, anche come sensibilità artistica, non era ancora frantumata nel 1290…) e gli altri personaggi che animano la scena. Diciamo che, tra tutto, che arriviamo già a fine settembre.
La prima ad essere sbalzata, 10 settembre, anche per l’importanza è la Teotokos, nella nuova versione. Seguirà il nuovo san Giuseppe dubbioso intero e seduto sulla pietra (13-9). Erano i personaggi che avevo già deciso per primi come avrei dovuto farli, non ho dovuto attendere la fine dell’intera composizione generale. Decido che seguirò più o meno la stessa tecnica messa a punto per l’ambone di Mirasole a Opera (con la differenza che qui smalterò anche le figure e non solo i fondi). Gli smalti che uso, visto che me lo chiedono in molti sono quelli per vetro GLAS Art della Marabu.
Ma qui, inoltre, dovrò fare delle “statuine” che stiano in piedi da sole e che mantengano una certa consistenza anche dovendole scontornare. Quindi dietro lo sbalzo dovrò incollare uno spessore di cartone che non sia impossibile da ritagliare e mantenere un appoggio (a L) che possa venire fissato, con colla a caldo, al fondo.
Passo poi alla realizzazione della montagna e della grotta. Elementi che mi pongono diverse difficoltà realizzative. Come ho già accennato stampo l’elemento deformato in altezza e lo sbalzo mettendo a frutto il mio background professionale di grafico cartografo sfumista-montagnista (non si butta via nulla… come il maiale). Poi ne accentuerò l’effetto rilievo ombreggiato anche con il colore di smalto. Taglio l’apertura della grotta col cutter. Devo pensare a come dare struttura portante alla lastra sottile e quindi uso abbondante colla di montaggio con l’associazione di un cartone molto spesso sul retro. Per tenere il tutto in posizione obliqua nello spazio e nel volume generale creo, sempre col cartone, uno scatolato che scorre, sia tra due sostegni fissati al rilievo di fondo, sia tra due binari fissati alla scatola di legno e viene fissato ad essi per mezzo di chiodi estraibili, in modo che se dovessi intervenire posso sempre farlo smontando tutto l’ambaradan senza problemi. Nello scatolato portante introduco e incollo un foglio di stagnola da cucina stropicciato e dipinto di nero che simuli l’effetto roccia di una grotta buia. Perfetto.
Bene, tocca ora al Bambino in fasce, alla mangiatoia/sepolcro e agli “animalia” (…ut animalia viderent Dominum natum…) da inserire poi all’interno della grotta.
Sbalzo prima il Bambino fasciato e poi la mangiatoia, che in realtà ha la forma di un sepolcro marmoreo, a simboleggiare il destino di crocefissione di Cristo, motivo della Sua venuta tra gli uomini. Il sepolcro è proprio tridimensionale, ma lo realizzo con una prospettiva forzata, innaturale, per dare più profondità e assomigliare di più a quelle prospettive “rovesciate delle icone. Bambino e sepolcro vanno montati su un supporto scatolato che andrà inserito all’interno della grotta, in modo da emergere alla giusta altezza.
Ora tocca all’asino e al bue. Li sbalzo, li smalto e provvedo a creare dei supporti per fissarli tra la parete di fondo della grotta e il supporto del sepolcro.
Il 26-10-20 siamo a questo punto. Ne manca ancora parecchio di lavoro!
31-10-20. Viene la volta del pastore tentatore (Tirso) e del suo compare. Tirso viene anche identificato col demonio che inocula a san Giuseppe tutti i dubbi del mondo a riguardo di questa nascita mirabile. Ci sono varianti dove la figura è identificata con Isaia che indica il germoglio che nasce dal tronco di Iesse.
Tra l’8 e il 9 novembre tocca ai 4 angeli annunciatori. Sbalzare le ali e i volti ha richiesto molta perizia. Però alla fine, smaltati, mi sembrano luminosi, come il loro essere. Troverò poi alcune difficoltà durante l’assemblaggio al bordo superiore della montagna, specie per l’angelo col cartiglio, che mi vedrà costretto a piegargli un po’ un’ala, ma… vabbé…
Il 10-11-20 apro una parentesi che si protrarrà per diversi giorni, perché il soffitto deve ospitare un piccolo impianto di illuminazione a led, nascosto da quinte nere, alimentato da pilette a pastiglia, con 20 microscopici led.
E qui i veri scrittori di icone inorridiranno, a ragione: la luce dovrebbe essere quella del Tabor, (la Trasfigurazione) provenire cioè dall’oro di fondo. Già, bravi, ma non essendo una tavola 2D, mi risulta difficoltoso far emergere dal buio gli elementi che più si posizionano sul fondo dello scatolotto. L’idea, comunque, sarebbe quella di valorizzare con degli spot di luce proiettata alcune figure, i cieli e il raggio di luce dello Spirito santo.
In realtà non sono del tutto soddisfatto del risultato, per diversi motivi: la pochezza e la debolezza dei punti luce, la luce sostanzialmente fredda che ho dovuto ritoccare con lo smalto giallo o arancio in alcune zone, le pilette che si scaricano troppo rapidamente, i troppi riflessi generati, san Giuseppe è troppo avanzato e irraggiungibile, ecc. Cercherò di migliorarlo, magari inserendo un alimentatore.
Nel frattempo proseguo con la realizzazione degli altri personaggi: pastore, pecore e levatrici che fanno il lavacro al bimbo appena nato, sono sbalzi del 19-11.
A queste seguono i Re magi, che completano i protagonisti del presepio. Qui le vediamo tutte finite, smaltate e in posizione. La sezione levatrici che fanno il bagno a Gesù mi ha dato molto filo da torcere, per via di tutti gli intagli da apportare per scontornare le figure. Siamo ormai al 21-11.
Credete che sia finita così? No, mi sento in dovere di stendere un testo, (che incollerò qui in coda), dove spiego al nuovo pro-parroco don Matteo, a don Luigi e a chi lo desidera, lo studio che ho fatto e i significati di ogni figura e dell’Icona in generale. Facendo ciò mi accorgo (ohibò!) che ho tralasciato le tre stelle sul mantello della Madonna, simbolo della sua verginità prima, durante e dopo il parto e i due arbusti, testimoni vegetali del mondo naturale e parte della trasfigurazione di tutto il creato in cosmo, nuova creazione. Devo assolutamente porvi rimedio. In fretta e furia tiro fuori questi due gioiellini che sembrano spille di smeraldo.
Bene, ora è il momento di rimontare definitivamente tutto e predisporre l’alloggiamento per il vetro sintetico antiriflesso che ha la funzione di proteggere il fragile manufatto dalle mani di pazzi e malintenzionati che girano dalle nostre parti e che hanno fatto già gravi danni in parrocchia.
(L’anno scorso sono state rubate le statue grandi del presepe tradizionale e rovinato il coperchio smaltato del fonte battesimale…).
Fisso con due vitine con bullone passanti attraverso il compensato del pavimento il bordo anteriore della montagna e le figurette in primo piano al pavimento. Al Brico poi acquisto sia il vetro sintetico (da tagliare col cutter in misura) che un listellino angolare di alluminio che taglierò in misura e metterò sul fronte sui lati lunghi, come guide per la lastra. Non lo trovo anodizzato oro, quindi lo vernicio a spray con lo stesso oro acrilico del fondo. Acquisto anche delle piccolissime viti autofilettanti per l’assemblaggio dei pezzi allo scatolotto. Lateralmente metto due piccoli fermi angolari da avvitare sui fianchi di legno per fermare il vetro in posizione.
Prima di chiudere il fronte, ovviamente scatto un po’ di foto.
Post scriptum: Il 27 novembre il presepio viene esposto in parrocchia. Gesù Buon Pastore via Caboto, 2 Milano: eccolo.
Le icone, per la Chiesa d’Oriente, sono molto di più di quello che sono per noi le immagini sacre: sono inscindibilmente legate alla proclamazione della retta fede (ortodossia). Ciò dipende dal legame, (stabilito dal VII° Concilio – Nicea, 787 d.C. – l’ultimo riconosciuto valido dalla Chiesa Orientale), tra l’espressione pittorica delle realtà spirituali e il dogma dell’Incarnazione, mediante il quale l’Invisibile si è degnato di assumere il visibile e di rivelarsi attraverso l’umanità di Cristo.
L’icona ha quindi un valore profondamente spirituale: non solo linguaggio figurato in aiuto della memoria, ma invito espresso in luci e colori a quella tensione spirituale, a quella TRASFIGURAZIONE del singolo e del creato, che i Padri orientali hanno espresso con il termine “Theosis”, ovvero deificazione o divinizzazione. (1)
Il Concilio di Calcedonia (451 d.C.) elaborò il simbolo della retta fede della Chiesa sull’Incarnazione: “… Il Figlio, Nostro Signore Gesù Cristo è uno e medesimo. Questi è perfetto nella Sua divinità e nella Sua umanità, vero Dio e vero uomo, composto di anima, un’anima razionale e un corpo. Egli, Uno e medesimo, è della stessa sostanza del Padre secondo la divinità ed è della nostra stessa sostanza secondo l’umanità, si è fatto in tutto simile a noi eccetto che nel peccato. Nato dal Padre prima di ogni tempo, rispetto alla divinità, per noi e per la nostra salvezza nacque da Maria Vergine e Madre di Dio, rispetto all’umanità. Noi crediamo uno solo e medesimo Cristo, Figlio e Signore, unigenito in due nature, senza confusione o cambiamento, senza divisione né separazione. Ma la differenza delle nature non è mai cancellata dalla loro unione, anzi ciascuna di esse conserva la sua proprietà concorrendo entrambe a costituire una sola persona o “ipostasi”. (2) Noi non lo crediamo uno in due nature separate e distinte, ma un solo e medesimo Figlio, il Verbo divino, Nostro Signore Gesù Cristo”.
Non sono affermazioni da poco, per noi sembrano scontate o superate, al nostro sguardo superficiale. Pro o contro questo credo si sono guerreggiate lotte sanguinose, per esempio tra iconoclasti (che non ammettevano una rappresentazione del Mistero eterno in forma sensibile e/o artistica, combattuta come idolatria) e coloro che invece, proprio in virtù dell’apparizione in terra dell’uomo-Dio Cristo, mistero incarnato fattosi nostro prossimo, non solo la ammettevano ma, anzi, la incoraggiavano.
San Giovanni Damasceno, intorno al 730 d.C., contro gli iconoclasti afferma: “ …Noi però possiamo rappresentare il Dio che si è incarnato, si è mostrato nella carne sulla terra, si è mescolato agli uomini nella Sua ineffabile bontà, ha assunto la natura della carne, la densità, la forma, i colori”.
Non si tratta quindi di idolatria, ma di “illustrare quando l’invisibile diventa visibile nella carne,… la rassomiglianza dell’invisibile”. “Come gli Apostoli hanno visto corporalmente Cristo, le sue sofferenze, i suoi miracoli e hanno inteso le Sue parole, anche noi desideriamo vedere e intendere per essere felici”. “…noi contempliamo le Sue fattezze corporali, i suoi miracoli, e i suoi patimenti, ne siamo santificati, resi pieni di ardore, di letizia e di beatitudine, a esse rendiamo onore, venerazione, adorazione e, per quanto ne siamo capaci, cogliamo nello spirito la gloria della Sua divinità. Noi siamo duplici, fatti di anima e di corpo, (…) ci è impossibile andare allo spirituale senza il corporeo”.
La natura umana ha bisogno di segni sensibili per poter giungere all’intelligibile, quindi necessita di segni quali la scrittura e la raffigurazione iconica. La Chiesa che porta con sé l’autocoscienza sicura della fedeltà alla tradizione può giustamente giudicare quando le immagini hanno diritto di portare il nome di proto-tipo. Così accolse e approvò i tipi che divennero canonici (…) non permettendo all’artista di progettare forme e composizioni non suffragate dalla tradizione stessa; l’artista cioè non è libero di rappresentare quello che vuole. Ma lo è nell’esecuzione artistica, nelle tecniche e nella padronanza degli strumenti.
I precetti tecnici canonici per l’esecuzione di una icona sono: a) tavola di legno, b) colori a tempera, c) bidimensionalità, d) riduzione del paesaggio e dello sfondo ad un semplice accenno, e) fondo oro e assenza di ombre proiettate, f) uso della prospettiva inversa, g) conformità ai tipi canonici approvati, h) bordo della tavola come cornice dorata in rilievo, i) preghiera fedele dell’iconografo.
Note 1) Dalla presentazione di Mons. Enrico Galbiati al volume “Il mistero e l’immagine” di Pietro Galignani. 1981, La Casa di Matriona. (*) Questo libro è la mia fonte per questo testo. 2) Nel Cristianesimo il concetto neoplatonico di ipostasi svolse un ruolo fondamentale nella formulazione della dottrina trinitaria: i caratteri specifici di Padre, Figlio e Spirito Santo furono definiti come ipostasi (sostanza personale), ma posti a un livello paritario e non più gerarchico. Il termine “ipostasi” fu così consacrato dal concilio di Calcedonia (451) che affermò l’esistenza in Cristo di un’unica ipostasi-persona in due nature: umana e divina. |
Per la genesi dell’opera, per la tecnica usata e per un mucchio di altri motivi, questa che vediamo qui non possiamo quindi chiamarla Icona della Natività. Commissionatami a febbraio 2020 da don Luigi come parte del suo progetto di presepio del Natale 2020 (molto più complesso e più articolato anche dal punto di vista teologico), che doveva essere tridimensionale, inserito in una scatola di legno centrale e poi accostata alle altre realizzate dei bambini del catechismo, mi ero ispirato come idea portante alle rappresentazioni della tradizione orientale, perché affascinato dalla profondità di tale teologia e dalla misteriosità di talune figure e atteggiamenti dei personaggi raffigurati che per noi, per la nostra tradizione occidentale, erano divenute un po’ estranee negli ultimi secoli. (Molte testimonianze artistiche del nostro passato ci ricordano invece l’unità di un tempo antico(3)). Mi ricordavo ciò che san Giovanni Paolo II una volta (13.10.1985) disse all’incirca: “La cristianità ha due polmoni, Oriente e Occidente, e deve ricominciare a respirare con tutti e due”. Quindi, nel desiderio di riscoprire una ricchezza complementare e necessaria ho iniziato a guardare diverse icone della Natività e ad immaginare come realizzare quest’opera.
Non è su legno, non è dipinta a tempera, non è bidimensionale, ha una sua illuminazione e non solo l’oro del fondo… insomma per i puristi è una porcheria. Io spero che però, attraverso la mia personale ricerca, il mio lavoro (ce n’è dentro tanto) e la mia tecnica a sbalzo su alluminio e smalti sintetici da vetro, qualcosa di vero e prezioso passi comunque. L’ho pensato espressamente come presepio con finalità catechistiche, pensando ai bambini dei miei corsi di iniziazione cristiana, innanzitutto. E come tale desidererei che venisse sempre usato.
Analizziamo forma e contenuti allora.
1- Resta l’uso, anche se imperfetto per via del 3D, della prospettiva inversa: la realtà cioè non è vista in modo naturalistico fisico-temporale, ma spirituale; la composizione (in questo caso della Natività), essendo una Teofania (manifestazione sensibile di Dio) nasce da un punto centrale e si sviluppa intorno ad esso. La grandezza delle figure non è data dalla lontananza o meno dall’osservatore, ma dalla loro importanza ed essenzialità. Così come per le loro fattezze e le proporzioni, non desunte dal loro essere fisico ma, allegoricamente dalla loro essenza spirituale, essendo l’uomo concepito come immagine di Dio.
2- Resta anche il trattamento non realistico del tempo, dello spazio e delle narrazioni: spesso in contemporanea avvengono più fatti. (Il bambino appare due volte nella stessa composizione, nella mangiatoia e lavato dalle levatrici). Così il fedele diventa “contemporaneo” al Mistero rappresentato: il tempo viene fatto “esplodere” nell’oggi di Dio e così pure lo spazio, che rappresenta un mondo trasfigurato: è il luogo di Colui che non ha luogo, che è incircoscrittibile e si lascia circoscrivere.
3- Purtroppo qui la concezione canonica, “Taborica”, della luce che promana dall’oro dell’icona non è stato possibile mantenerla. La tridimensionalità la impedisce e quindi ho dovuto supplire, per rendere visibili i particolari, con una illuminazione a soffito, nascosta da quinte, ma presente.
1)- La Madonna o Teotokos (Madre di Dio). La Deipara campeggia al centro della composizione tagliandola di sbieco. È la figura più grande di tutte. È Colei che accoglie il Verbo e questo fa di lei la “Piena di Grazia”, la massima realizzazione dell’umano. Col capo avvolto dall’aureola della luce divina riposa su un letto (ne ho trovati di diverse fogge e colori e ho scelto il bianco che mi sembrava più luminoso del purpureo e contrastava con le sue vesti: la tunica azzurro intenso e il mantello porpora, che simboleggiano rispettivamente la sua creazione a immagine di Dio e la sua deificazione nell’accettazione del suo coinvolgimento nel mistero della salvezza, cioè la sua trasformazione interiore, la sua piena somiglianza con Cristo, che dona a Lei per grazia quello che Egli possiede per natura). Per inciso, è l’inverso dei colori con cui è tradizionalmente raffigurato Cristo nelle Icone: Dio rivestito di carne umana. La Teotokos porta sul capo e sulle spalle le tre stelle del mistero della sua maternità verginale: vergine prima, durante e dopo la natività.
2)- Al suo fianco Gesù appena nato, il Dio fatto uomo giace, avvolto in fasce molto strette come quelle di un defunto, in una mangiatoia di pietra, molto somigliante ad un sepolcro. Il bambino circondato dall’aureola dorata, l’asino e il bue che lo guardano stanno all’interno di una grotta, che rappresenta la terra dopo il peccato, molto buia: La luce è apparsa nelle tenebre. In questa voragine sono già prefigurati gli inferi raggiunti dalla potenza redentrice di Cristo nell’icona di Pasqua, della resurrezione. Cristo, assumendo la carne mortale illumina, trasfigura, deifica l’uomo e la natura; il mistero della nascita è vissuto all’interno della fede pasquale.
3)- Sopra il bambino sono rappresentati i cieli, oltre i quali vive il mondo spirituale sovraceleste, in forma simbolica dei tre cerchi colorati dai quali emerge un raggio di luce (spesso tripartito) nel quale è rappresentato lo Spirito santo (In alcune Natività è in forma di colomba, in altre compare la stella). Il legame che li unisce è quello della comunione ineffabile trinitaria. Lo Spirito vivificante, che fa degli uomini dispersi un popolo nuovo e del mondo un cosmo ordinato, testimonia, come nel Battesimo al Giordano, che Cristo è il Figlio di Dio. (Teofania)
4)- Attorno al nucleo centrale della natività sono disposte altre scene non contemporanee ma rappresentate contestualmente nelle quali, (con più libertà di disposizione e rappresentazione), sono raffigurati secondo i canoni e i proto-tipi approvati:
a- l’annuncio degli angeli ai pastori,
b- il bagno di Gesù Bambino con le levatrici,
c- la venuta dei Magi,
d- il dubbio di Giuseppe.
In ultimo un cenno sulla natura, raffigurata in modo molto scarno dalla montagna, dagli animali (pecore, asino e bue) e dalla scarna vegetazione: anch’essa è testimone di questa teofania e viene trasfigurata anch’essa: diviene un cosmo ordinato.
Concludendo, l’annuncio teologico dell’icona della Natività afferma innanzitutto la potenza di Dio, che inaccessibile nella Sua natura si manifesta, discende verso l’uomo, si accompagna con l’uomo condividendo la sua vita, risignificandola in modo salvifico. Proclama poi il miracolo della maternità virginale come luogo di applicazione, il punto di consistenza attraverso il quale la manifestazione divina entra nella storia dell’uomo. Infine annuncia che la teofania divina non è solo un fatto miracoloso che si presenta all’uomo lasciandolo attonito spettatore; lo scopo di questa teofania, lo scopo della filantropia divina è la deificazione dell’uomo e della natura.
Non rinnego nulla della nostra tradizione cattolica e francescana del presepio, che molto deve del suo sviluppo anche artistico al confronto serrato nei secoli con la cultura e le scienze sviluppate nell’ambito della cristianità occidentale, ma proprio perché possiamo essere assuefatti alla nostra rappresentazione iconografica abituale, ritengo che l’approccio con questa spiritualità possa aiutarci a vivere con più attenzione questo Mistero.
“Studia! Se vuoi riuscire bene nel commercio”. Questo simpatico motto familiare ha da sempre condizionato il mio modo di essere, anche se, quanto a titoli di studio, lo ammetto, ho un medagliere piuttosto scarno.
Però ho sempre cercato di imparare da tutti, ho studiato sempre gli argomenti che volevo approfondire, sono sempre stato curioso e sperimentatore. Stavolta però abbiamo fatto sul serio (Io e mia moglie Daniela Blandino): abbiamo frequentato con successo in giugno, ONLINE (adattandoci, ma anche approfittando dei problemi legati al Lockdown Covid), il primo livello del corso di modellazione solida con Rhinoceros.
Qui il mio certificato da neofita di primo livello (cioè, ehm…, siamo veramente ai rudimenti, alle basi raso terra…). Il mondo, anzi l’universo che ci si spalanca innanzi, però, è davvero infinito: ci si sente veramente inesperti navigatori su un guscio di noce.
Un mondo davvero interessante quello della modellazione solida in 3D con la possibilità di ottenere prototipazione degli oggetti creati con Rhinoceros.
Il mio sogno nel cassetto, da realizzatore di icone a sbalzo e smalto, è la realizzazione di un calice istoriato con alcune riproduzioni di formelle di via crucis di mio padre Ettore. È un po’ la molla che ha fatto scattare questa iniziativa di conoscenza e formazione. Un calice che esprima la preziosità del sacro in chiave moderna. Con l’uso quindi di materiali preziosi oggi, tipo qualche lega o metallo raro (Rodio, Palladio, Iridio, Titanio, Platino, Osmio…), inserti di fibra di carbonio, ecc; e una lavorazione tipo la stampa 3D addizionale per i metalli.
Qualche idea già ce l’ho: chissà se riuscirò a realizzarla?