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DiGiancarlo Paganini

CONSIDERAZIONI A MARGINE

In quarantena c’è più tempo per pensare. A volte lo spunto arriva da cose banali. Ma poiché in sottofondo oggi siamo tutti più sensibili e aperti alle dimensioni profonde della vita, grazie alla paura del coronavirus, perché non approfittarne per scavare nel senso di ciò che capita?

Un amico, durante una chat di gruppo con Zoom (grandissimo software, lo consiglio a tutti!) ha fatto una affermazione un po’ smozzicata, perché in chiusura meeting, che però mi ha molto interpellato e mi ha fatto pensare: “Sì, speriamo che finisca presto, ma per che cosa? Per tornare alla banalità di prima, alla situazione di prima?” Era una cosa più o meno così, riferita a spanne.

# Hashtag

Gira un hashtag che mi infastidisce ogni volta che lo vedo:
#celafaremo
E chi non ce la fa? Cosa gli dici? E soprattutto: a far cosa? A ritornare a come eravamo prima? È possibile? È auspicabile? Sarà tutto passato, come se nulla fosse accaduto? A chi muore (o a chi resta senza l’amico o il congiunto) puoi dirgli, come direbbero gli inglesi: “Vabbe’, è la dinamica di gregge, abituiamoci a perdere un po’ dei nostri cari”, “Qualcuno tra i deboli soccombe, gli altri no, i più forti e attrezzati. Selezione naturale”.

Tutto 0k! (zero killed)

Normale. Tutto bene. Tutto bene? L’ideale sarebbe dimenticare? Forse per chi questa tragedia l’ha solo sfiorato da lontano. Chi l’avrà vissuta impegnato pienamente, non potrà e soprattutto non vorrà dimenticare.
A.B. potrà dimenticare la sua esperienza di medico in ospedale e l’angoscia di chi si sente abbandonato e in balia del virus, senza amici e parenti, di fronte alla fine? B.N. potrà dimenticare tutte le carrettate (come nella peste di manzoniana memoria) di defunti da accompagnare al transito definitivo, impotenti, senza poter fare più nulla, e doverli poi metterli nudi nella bara perché non c’è più né tempo, né voglia, né possibilità di vestirli? M. M, se ne uscirà vivo, potrà e vorrà dimenticare? E D.M.M. e P.C. come si sentiranno ora, come potranno dimenticare la loro esperienza di malati col respiro che manca?

Memoria

Perché non vorranno dimenticare e non sarà più possibile tornare al “tran-tran” di prima, come se niente fosse accaduto?
Questa estate mi sono finalmente letto “Il cavallo rosso”  di Corti. L’epopea reale di un gruppo di giovani amici brianzoli spediti in guerra, chi in Africa, chi in Russia. Mille peripezie per tornare, ma solo alcuni di loro, (gli altri cadono in battaglia) però tornano a casa. La cosa più sconvolgente è la testimonianza che nella loro patria il rientro non sarà come se l’erano immaginato. Pochissimi capiranno, pochissimi comprenderanno cosa è loro veramente successo. Verranno quasi emarginati come corpo estraneo con quella loro vicenda “esagerata” e insopportabile ai più, che vogliono solo mettersi alle spalle la guerra, dimenticare i drammi e tornare a svagarsi. Anche Guareschi fa esattamente la stessa esperienza di estraniamento al rientro dalla prigionia. Quindi, non mi faccio soverchie illusioni al riguardo.

Invece ci sarà proprio bisogno di memoria. Perché l’Italia in primis e tutto il mondo non dovranno dimenticare tutto ciò che questa esperienza sta insegnando. Per ripartire e ricostruire. Una memoria attiva e fattiva, responsabilità di chi questa esperienza vorrà mettere a frutto. Di cosa si fa esperienza con questa circostanza? Perché è preziosa? Cosa io sto scoprendo?

Prima scoperta

La prima evidenza solare è la debolezza mortale, la paura, il terrore della morte, nostra e dei nostri cari, che ci accomuna tutti, a volte in modo irrazionale ma irrefrenabile. In cosa è eccezionale? Non è evidente? La morte è evidente, anche se facciamo di tutto, appunto, per nascondercela.
Ma la Paura, non è così evidente, normalmente è una cosa che condanniamo solo negli altri, quando la dimostrano: “sono dei cacasotto”. Pensiamo di farcela, noi. Invece. (Se avessimo lo stesso terrore verso la “trascuratezza dell’io”!) Ma…

Questa paura è una crepa salutare nella nostra corazza di distrazioni e superficialità. Ci mette a fuoco improvvisamente il problema: e ora? Cosa faccio? Sono un debole! Come uscirne? Cosa mi serve innanzitutto per vivere? (Ringrazio per le volte che mi è capitato di fare questa esperienza nella vita) È una sensazione e una domanda scomoda, ma una volta provata ha il suo fascino e si desidera andarci fino in fondo senza ricoprirla di “soluzioni concrete”, buonsensi, direttive, ottimismi a buon mercato, surrogati, palliativi, hashtag, parole d’ordine, canzoni dal balcone, croste che non tengono alla prova della ragione e dell’esperienza.

Un tesoro, allora? Calma, non accomodiamoci subito in definizioni pacificanti senza la ciccia dentro. Coprirebbero solo come un pannicello caldo e umido l’apertura, soffocandola nella muffa.

Sicuramente è una crepa, una ferita senza croste che tengano. Che non si rimargina, ma che, anzi, va tenuta aperta e pulita perché non si infetti. Non guarirà mai però. Come dice il Gius, citato nella lettera di Carron alla Fraternità: Questa è una vertigine, una posizione vertiginosa e anche dolorosa. Che però ci apre alla gratitudine per esserci miracolosamente, per poter godere della presenza del mondo e degli altri, una gratitudine al Creatore.

Seconda ri-scoperta

Ma se scopro che dipendo in tutto e che in ogni momento sono fatto: Io sono Tu che mi fai, allora, cosa c’entri Tu con me? Cosa vuoi da me, dalla mia esistenza? Perché mi fai? Cosa vuoi da me? Vuoi me? Perché? È soprattutto ricercare nella circostanza presente, nella quale Lui mi risponde e mi interpella, la mia vocazione, cioè quello che Dio vuole da me, il mio destino compiuto secondo la mia immagine più vera (arrivare a Lui, al Destino). E dire il mio a Lui che mi chiama. Aderendo alla circostanza reale.

Dio! Lui ci prende sul serio: il nostro sì, per Lui non è tanto per dire, è eterno. Non ci dimentica, mai. Ha un valore eterno. Per Lui vale solo il nostro “santo desiderio”. Basta quello, aperto e non infettato. Il no, invece, è disposto a dimenticarlo, era uno scherzo, dài! era uno sbaglio, era così tanto per dire, (tanto è incredibile ai suoi occhi). E’ disposto a farlo sparire, eliminare, come se non fosse mai stato detto e affermato.

Che gratitudine per la nostra compagnia guidata al Destino, che con misericordia, segno tangibile della Sua, ci richiama continuamente all’essenziale!

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